KEEP CALM WE HAVE HEART

KEEP CALM WE HAVE HEART

Keep calm we have heart è il titolo di una mostra personale presso il comune di San Severo  a cura dell’artista Gianni Pitta

San Severo è una località che mi è rimasta impressa leggendo i libri di Giovanni Rinaldi, nei quali sicuramente il cuore non manca.

In questo caso però si tratta di cuore inteso in senso artistico, cito testualmente: Keep calm we have heart, vuole riproporre il tema centrale del cuore come simbolo, ma anche come linguaggio, come pensiero la cui finalità vuole essere principalmente di speranza, di amore e non solo amplificatore del tormento, conseguenza di questo malessere umano.

Indubbiamente di cuore e di speranza abbiamo molto bisogno, in questo periodo particolarmente.

E mi sono ritrovata a pensare alle volte in cui mi è capitato di disegnare un cuore: i miei cuori erano sempre imperfetti, asimmetrici, talvolta squilibrati proprio.

Eppure forse erano più veri, così: sghembi e schiacciati.

Se poi proviamo anche a scrivere heart in maniera diversa, otteniamo ad esempio heArt che è una piattaforma social dedicata all’arte, nata nel 2021 proprio con l’intento di dare visibilità e condivisione agli artisti.

Tu la conoscevi già?

Rimanendo in ambito artistico, QUANTE volte potremmo citare heart?

Qual è il primo cuore che ti viene in mente?

 

C’ERO ANCH’IO SU QUEL TRENO

C’ERO ANCH’IO SU QUEL TRENO

Nel ringraziare ancora una volta Giovanni Rinaldi, sono felice di parlarti del suo nuovo libro C’ero anch’io su quel treno La vera storia dei bambini che unirono l’Italia edito da Solferino.

C’ero anch’io su quel treno viene pubblicato a dodici anni esatti da I treni della felicità, anni durante i quali Giovanni Rinaldi non ha mai interrotto la sua ricerca storica, anzi, con il suo instancabile impegno umano, la ha trasformata in una vera e propria missione per riunire i protagonisti di una catena di meravigliosa solidarietà.

Negli anni del dopoguerra, migliaia di bambini sono stati ospitati da generose famiglie che si sono impegnate a offrire loro ciò del quale per vari motivi erano stati privati, accogliendoli e trattandoli come figli.

Il saggio di Giovanni Rinaldi parte dalle tragiche conseguenze di uno sciopero a San Severo nel 1950 in seguito al quale più di un centinaio di persone furono arrestate in massa: madri, padri, lasciando molti bambini in mezzo a una strada.

Un canto registrato da Giovanni cominicia così

Il venditré di marzo

Succèsse ‘na rruìna

Lo so, lo ho già scritto, ma per me il dialetto, così come la tradizione orale, sono un patrimonio assoluto che, se non fosse per persone come Giovanni, lasceremmo scivolare via.

E invece con il suo perseverante prodigarsi, Giovanni prosegue nella raccolta di testimonianze che si estende a bambini di Napoli costretti a lavorare, a bambini sopravvissuti al bombardamento di Cassino, e a tanti altri casi in cui condizioni di estrema difficoltà hanno reso provvidenziale l’aiuto a genitori impossibilitati al sostentamento dei propri figli.

L’organizzazione, i trasferimenti, le comunicazioni tra famiglie di origine e famiglie ospitanti si sono svolte dietro iniziativa del partito comunista ma in particolare a cura dell’UDI: Unione Donne Italiane.

A questo proposito, io con il mio debole per il Natale, ho letto con particolare emozione la parte in cui Ida racconta del suo impegno per raccogliere presso vari negozianti, il necessario per fare un Albero allestito con caramelle biscotti e doni.

La magia però si spezza al punto in cui Ida ricorda come il segretario, indispettito per questa sua iniziativa, la rimproverò addirittura con uno schiaffo …

Donne.

Donne e Mamme che intrecciano le loro vite in funzione del bene per i bambini, riuscendo a mettersi l’una nei panni dell’altra, comprendendo, adoperandosi, sacrificandosi.

Tengo particolarmente a ricordare con affetto Americo al quale sono grata per il grande insegnamento sull’amore materno che mi ha donato.

Incantevole anche la lettera della mamma di Umberto:

I cuori di noi madri della martoriata Frosinone salutiamo in voi tutte che ci venite incontro, e salutiamo questa bell’opera organizzata dal nostro Partito comunista.

Spero ricevere ancora notizie, e se il Signore mi provvederà prima che Umberto torni verrò a trovarla.

Non ciò parole per ringraziarla per quanto state facendo per mio figlio, ma il Signore vi restituisca tutto il bene che meritate …

Ringrazia il partito e spera nel Signore eppure io non trovo contraddizione, anzi ammiro la meravigliosa coesistenza di pensieri che hanno come denominatore comune il cuore.

Cuore che ho trovato in ogni pagina.

Tra i capitoli di C’ero anch’io su quel treno, dedicati a ciascuno dei bambini che è riuscito a rintracciare, Giovanni Rinaldi ci racconta come sia riuscito a risalire alle famiglie che offrirono generosa ospitalità, partendo da frammenti di ricordi, nomi spesso sprovvisti di riferimenti, fotografie di un tempo lontanissimo.

Un lavoro minuzioso ma soprattutto una forte sensibilità unita al nobile intento di realizzare il desiderio di ricongiungimento di queste persone che la vita ha inevitabilmente portato ad allontanarsi.

Non so se hai potuto seguire l’intervista su Rai Uno, diversamente puoi recuperarla qui a 1 h e 1 minuto circa.

Ti consiglio di vederla per renderti conto di come sia l’atteggiamento di Giovanni nei confronti delle persone che ha incontrato: mentre Severino e Diego raccontano la loro esperienza, li osserva con un sorriso che dice più di qualsiasi parola.

E questo è il sentimento di estremo rispetto che attraversa tutto il libro. Giovanni stesso ci dice che “questi signori anziani, nel momento in cui parlano, sono i bambini di allora che raccontano … ed è anche una terapia: tornare a quei momenti significa far venire fuori sia i traumi sia le gioie.”

In punta di piedi l’ascolto come prima cosa.

E tanto quanto Giovanni si pone come un tramite che concede di far fluire ricordi e racconti che vengono riportati fedelmente, altrettanto poi ci restituisce descrizioni del contesto talmente puntuali da farci sentire trasportati nello stesso luogo, avvolti dalla suggestione che la portata di enormi carichi di emozioni racchiude.

Concludo lasciandoti questa bellissima metafora a proposito di Benedetto:

apre il portone: un fascio di luce rischiara il buio. Fuori e dentro, come su un confine, rimangono tutti fermi, sospesi

MAMME. di Americo Marino

MAMME. di Americo Marino

Americo ha scritto nei commenti il racconto dei suoi ricordi: talmente bello che non può rimanere soltanto lì con il rischio che qualcuno se lo perda.

Riporto testualmente:

Con piacere riporto i miei ricordi d’infanzia.

Oltre a mia mamma biologica, ho avuto altre mamme come Derna e sua cugina che mi accolsero ad Ancona e cresciuto come un loro figlio, circondato da tutte le attenzioni.

In particolare voglio ricordare Derna Scandali, la nota sindacalista, che all’epoca si diede da fare per organizzare nei minimi dettagli l’arrivo e l’affido alle famiglie di noi piccoli meridionali.

Mise in moto una macchina organizzativa eccezionale per l’epoca che, nonostante la povertà del dopoguerra, la solidarietà nei nostri confronti non venne a mancare.

Derna e sua cugina abitavano vicine, lei aveva una vita indipendente e ogni giorno ci ritrovammo a tavola tutti insieme, giorno e sera.

Organizzava anche le colonie, ci portava al mare e noi bambini ci divertivamo.

Passammo così le giornate estive.

Ma voglio ricordare anche mia madre.

Feci di tutto pur di non rimanere al mio Paese perché conoscevo bene la povertà del Sud.

Lei vedendomi triste e che non mangiavo più per il dispiacere di aver lasciato Ancona, a malincuore mi lasciò partire pur di sapermi felice e di avere la gioia negli occhi, poiché sapeva che ero in buone mani, anche se aveva piacere (giustamente) di avermi con sé e di vedermi crescere.

Oggi mi sento in colpa per questo, proprio per non averle dato la gioia di vedermi crescere, al tempo stesso, però, ripenso a quel bambino che ad Ancona aveva tutto, per me era un mondo che ho sempre definito “a colori”.

Ho capito che solo un grande amore di una madre verso il proprio figlio può far accadere ciò.

Spesso mi chiedo che cosa avrei fatto io al suo posto: probabilmente lo stesso, avrei lasciato andare anch’io mio figlio.

Purtroppo, queste grandi Donne, sono tutte scomparse, ma non posso dimenticare tutto quello che di positivo hanno fatto. Il loro ricordo è sempre vivo in me.

E se oggi sono quello che sono, lo devo a loro.

Direi che le parole di Americo dipingono esattamente la vera essenza dell’essere Mamma.

Chissà quante volte avrai anche tu affrontato la considerazione di come non sia così scontato che mamma intesa come colei che partorisce, coincida con mamma intesa come colei che ha la capacità di dispensare amore al di là di sé stessa.

Troppe sono le storie di bimbi abbandonati o maltrattati dalle loro madri biologiche. Troppe sono le storie di bambini costretti a crescere senza ricevere affetto.

Americo invece ci racconta della dimostrazione di immenso amore della sua vera Mamma, che ha accettato il suo “mondo a colori.”

E allo stesso tempo, il semplice mostrarsi per la persona che è, testimonia che chi lo ha accolto, ha fatto sì che lui potesse proseguire la crescita nel migliore dei modi.

Il forte senso di famiglia è dunque se possibile ancor più potenziato per Americo, che tiene tantissimo alla memoria dei suoi genitori.

Per questo, posso comprendere l’amarezza nel vedere la propria storia raccontata in alcune parti e poi trasposta in un contesto completamente diverso, soprattutto con riferimenti familiari lontanissimi.

Ricapitolando: io mi sono affezionata al personaggio descritto nel libro di Viola Ardone pensando che fosse di fantasia, per poi scoprire invece che esiste veramente, che ha veramente viaggiato sul treno e che è stato veramente accolto e ospitato da Derna.

E non solo: grazie a Giovanni Rinaldi ci siamo messi in contatto e ho avuto l’opportunità di conoscere la realtà e di capire che ci si sente defraudati sapendo che partendo da una base di fatti reali, e in assenza di specifiche o disclaimer, la maggior parte delle persone potrebbe pensare che anche tutto il resto sia vero.

Per questo mi permetto di dare voce al bambino Americo che non ha mai tagliato la coda ai topi né raccolto stracci, e che da piccolo, così come da grande, ci insegna a desiderare un mondo a colori fatto di persone per bene come loro.

I TRENI DELLA FELICITÀ

I TRENI DELLA FELICITÀ

Innanzitutto ringrazio moltissimo Giovanni Rinaldi e Americo Marino per i loro grandi gesti di amicizia: ne sono estremamente onorata.

Una volta tanto posso dire davvero che le storie BELLE continuano.

Tutto è cominciato con uno scambio di opinioni, o forse dovrei dire con uno “scambio” che ha deviato il treno giusto su un binario diverso.

E diverso è stato il viaggio che ho fatto leggendo il libro I Treni della Felicità perché se “l’andata” riporta indietro nel tempo, il ritorno è sicuramente diretto al futuro.

Il futuro di bambini che hanno vissuto un momento storico molto doloroso, ma che più di altri ci insegnano la vera essenza della vita.

Ti consiglio di scoprire questa storia che trovo assolutamente essenziale per l’esempio che rappresenta, perché non ci si dimentichi mai che aiutarsi l’un l’altro è il segreto della felicità.

“La miseria che aiuta l’altra miseria è una frase che racchiude esattamente lo spirito che ha animato l’UDI, Donne che si sono adoperate per fare in modo che bambini rimasti soli in seguito ad un arresto di massa come ritorsione ad uno sciopero, potessero trovare l’affetto e le cure che i loro genitori erano impossibilitati a dare.

L’episodio chiave si snoda dalla Puglia ma la rilevante portata ha fatto sì che l’aiuto si estendesse a bambini provenienti anche da altre zone.
Il libro cita anche Pavia, ed in effetti io mi chiedo se tu hai mai sentito magari i tuoi nonni raccontare episodi di ospitalità nei confronti di bambini venuti da altre regioni.
So per certo che “da noi” in tempi più recenti furono ospitati bambini di Chernobyl, quindi chissà.

Infatti io sono rimasta incantata innanzitutto perché si tratta di tradizione orale nel senso più puro. Le descrizioni minuziose trasportano letteralmente ad ascoltare, oltre che a leggere, proprio come io ho sempre ascoltato i racconti delle mie nonne.

C’è tutto un patrimonio di vite contenute nei cuori delle persone che sarebbe meraviglioso conoscere, testimoniare, diffondere, imparando dalla viva voce di chi ha il grande valore della propria esperienza da condividere.

Come Irma: di lei mi sono “innamorata” leggendo la sua idea di piacere catastematico.

O come Americo: il suo racconto di mamme al plurale per me è stato commovente e illuminante allo stesso tempo.

Nel mese di maggio ricorre la festa della mamma e direi proprio che la mia dedica andrà alle sue MAMME.
Resta inteso che qualora Americo volesse raccontare qualcosa di loro o aggiungere qualsiasi altro pensiero, qui è il benvenuto.

Ovviamente lo stesso vale anche per Giovanni.

Questa volta fatico a rimanere nello spazio di un caffè, perché le riflessioni che nascono sono tante: solo il ricordo di Mimì che vede il mare per la prima volta basterebbe per un ulteriore viaggio parallelo.

Allora semplicemente lascio che il treno riparta lento sperando che la prossima destinazione possa essere una piacevole sorpresa, come quella che mi ha portata a conoscere I treni della felicità.

GRAZIE!

 

NON PERDIAMOCI IL TRENO GIUSTO

NON PERDIAMOCI IL TRENO GIUSTO

A dicembre avevo scritto a proposito del libro Il treno dei bambini, consigliandolo anche come regalo, dal momento che io stessa lo avevo ricevuto in dono il Natale precedente e lo avevo gradito molto.

Alcuni giorni fa, leggendo il parere di Matavitatau, che ringrazio e che ti consiglio di leggere, ho trovato in conclusione due Addende che sono state una grande sorpresa per me.

Esiste già un libro precedente: I treni della felicità che parla proprio dei viaggi di bambini meno fortunati, e che si basa sulla minuziosa ricerca e ricostruzione delle storie reali di questi ragazzini divisi tra “due Italie” ma anche separati su quel binario a doppia velocità che è la vita.

Nel libro di Viola Ardone, la parte che riguarda il viaggio in treno, in particolare del protagonista, riveste un ruolo chiave della narrazione e personalmente ne sono rimasta affascinata, tanto da cercare di approfondire la conoscenza dell’autrice che ho poi un po’ scoperto in veste di mamma molto operativa.

Credevo che il suo romanzo fosse semplicemente ispirato a vicende storiche e, nella mia smisurata ignoranza, avevo supposto che i personaggi fossero di fantasia.

Invece, sempre sul blog Matavitatau nei commenti, Giovanni Rinaldi, autore de I treni della felicità, ha lasciato questo link: dove vengono elencate passo passo frasi pressoché identiche tra il suo libro e il libro di Viola Ardone, nonché contraddizioni durante le interviste di presentazione e lancio del libro edito da Einaudi.

Ulteriormente, nei commenti di cui sopra, Giovanni Rinaldi scrive “è bastata una mia lettera di diffida per far apparire due intere pagine di fonti e indicazione di autori specifici dalla nona edizione (italiana) in poi.

Dunque occorre sicuramente aggiornare, e, come promesso a Giovanni Rinaldi, riporto testualmente le sue parole:
Oltretutto, la citazione delle fonti specifiche da cui sono tratte non solo le informazioni di contesto storico, ma anche personaggi, aneddoti, caratteri e intere frasi, andava fatta con onestà, scrivendo “ho scritto questa storia ispirandomi liberamente a… invece, si è preferito, prima nascondere e negare, poi di fronte alle lettere legali e alla sotterranea polemica tra gli addetti ai lavori, pubblicare una “bibliografia” (dalla nona ed. in poi). Questo solo in Italia, perché nel resto del mondo e negli ebook, non c’è nulla di nulla e sono in tanti, soprattutto all’estero a domandarsi come mai non ci sia un minimo di informazione storica più attenta al contesto e alle fonti.
Ma vendono, tanto, e questo è quello che interessa. Noi siam qui a mettere lo smalto ai criceti!

Ecco, con i criceti non ho avuto una bella esperienza devo dire … scherzi a parte, io che non sono NESSUNO, a proposito del lavoro ripeto spesso proprio questo concetto: dal momento che il guadagno è speranza persa … almeno la “gloria” … almeno il sentirsi dire GRAZIE, sarebbe gradito.
In fondo non è chiedere molto.

Giovanni Rinaldi ha comunque tenuto a specificare ulteriormente:
Non ci sono veri autori. La storia collettiva può essere raccontata da tutti. Prima di me lo hanno fatto altri (che cito doverosamente). Ognuno aggiunge un po’ della propria curiosità, della propria passione e della fantasia (se scrive fiction). Rimane il lato etico della questione: in un libro che, paradossalmente parla della solidarietà tra le persone più indifese e povere, l’autore’, forte delle spalle coperte dall’importante casa editrice che lo propone, finge che tutto quello che scrive e inventa sia farina del proprio sacco. Ribadisco: a me bastava un Grazie (che andava esteso ai miei testimoni, alcuni dei quali viventi, Americo in primis). Forse l’opera Einaudi ci avrebbe guadagnato, non perso. Ma hanno preferito perdere da una parte per guadagnare di più dall’altra (sull’onda della storia “sconosciuta” e “scoperta”).

Dunque Americo (che io ho conosciuto come Amerigo) non solo è un personaggio reale ma è vivente!

Sarebbe davvero meraviglioso se potesse ricevere il mio e tuo (penso di trovarti d’accordo) abbraccio virtuale, con tanti tanti complimenti che magari Giovanni Rinaldi vorrà estendergli da parte nostra.

Grazie!

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