THE BRIDGE

THE BRIDGE

È uscito The Bridge: il nuovo lavoro di Mr. Gordon Matthew Thomas Sumner. Quattordicesimo album solista del professore che tossiva e tremava proprio come il vecchio in quel libro di Nabokov.

Non sono tu, ma io non sono mai riuscita a scindere completamente la indubbia carriera grandiosa di Sting da The Police che per me sono un pezzo di storia.

L’annuncio con un tweet che presenta Rushing water e If it’s love

Io preferisco Rushing water

 

Al primo ascolto mi ha fatto ripensare alle sonorità anni 80 e in qualche modo mi ha fatto ripercorrere questo “bridge” … questo ponte a ritroso, riportandomi ad atmosfere spensierate delle quali avevo necessità.

Che poi è un po’ l’intento che si pone la canzone: lo stesso Sting dichiara “La canzone ‘Rushing Water’ è un inizio appropriato per un album che cerca di colmare tutte le piccole differenze che possono separarci”.

E io mi auguro davvero che possa contribuire in questo senso: non dobbiamo lasciarci separare dalle differenze.

This is the sound of atmospheres
Three metric tonnes of pressure
This is the sum of all my fears
Something I just can’t measure

Questo è il suono delle atmosfere
Tre tonnellate di pressione
Questa è la somma di tutte le mie paure
Qualcosa che non riesco proprio a misurare

Parole perfette.
Parole combinate con un’armonia di leggerezza che magicamente illumina il ponte, che c’è, esiste.

Certo non siamo ai livelli di quella che secondo me è la sua più grande alchimia: cioè una delle mie canzoni preferite di tutti i tempi in assoluto, anche se molto spesso leggo parecchi detrattori.

In questo momento però citerei piuttosto la perla dal suo primo album da solista The dream of the blue turtles: possiamo cambiare il titolo mettendo una qualsiasi altra descrizione ma il concetto è attualissimo.
Non credi anche tu?

We share the same biology
Regardless of ideology
But what might save us, me and you
Is if the … love their children too

Condividiamo la stessa biologia
Indipendentemente dall’ideologia …
Ma ciò che può salvarci
È che anche … amino i propri figli.

UN MONUMENTO DA RICORDARE

UN MONUMENTO DA RICORDARE

Un monumeto da ricordare ovvero un monumento che deve essere tenuto presente ogni giorno è la frase finale di quello che non potrei mai definire semplicemente “commento” che Nick di Matavitatau ha generosamente scritto in merito alla Repubblica di Weimar

Nel caso in cui tu non lo abbia letto, ti consiglio vivamente di non perderlo: lo trovi qui

Tra l’altro ha anche ridato fiducia a Massimo dato che io dal suo spunto avevo parecchio divagato laughing

Sono assolutamente d’accordo sul concetto di monumento come qualcosa che stia ad indicarci di non dimenticare ciò che è stato, dal momento che troppo spesso non teniamo conto dell’importanza degli insegnamenti che potremmo trarre da quanto è già accaduto.

Invece ricadiamo.

La vita, si direbbe, è fatta di recidive e anche la morte dev’essere una specie di recidiva.
Samuel Beckett

Certo che potremmo lavorare su come arrivare a questa “recidiva finale”… o no?

Eppure perseveriamo nel farci cogliere ingenuamente dalle derive che ci trascinano troppo facilmente nelle risacche dei riflussi storici, che somigliano piuttosto a reflussi, che il male rigurgita dopo essersi cibato impunemente.

Cito ancora: la Repubblica di Weimar rimane lì come monito gigantesco al “come è stato” e al “come è bene che non sia mai più:” studiarla è come vederci allo specchio, oggi che la democrazia è tanto in pericolo proprio per nuove carestie e nuovi razzismi.

Perché dunque non vogliamo guardarci allo specchio con onestà?

Se non altro almeno l’inconscio potrebbe registrare ciò che noi non vogliamo vedere, persino Profondo Rosso ce lo insegna.

 

Si può quindi dire che rifiutiamo consapevolmente di vedere oppure inconsciamente rifuggiamo l’evidenza davanti ai nostri occhi?

Ora divago di nuovo, lo so, ma rimbalzando da uno specchio all’altro mi sono imbattuta in una ricerca del professor Giovanni Battista Caputo dell’Università di Urbino, ribattezzata con il nome di Caputo effect, la conosci già?

Si basa sull’illusione visiva: il professore ha registrato le reazioni di un campione di cinquanta persone alle quali è stato richiesto di osservare la propria immagine riflessa nello specchio per dieci minuti consecutivi.

Lo specchio è stato posto all’interno di una stanza illuminata soltanto dalla luce di una lampada posizionata in modo che la sua luce rimanesse dietro al campo visivo dell’osservatore e che non potesse riflettersi.

I risultati hanno dimostrato visioni distorte e in particolare: la maggior parte ha testimoniato di aver visto distorsioni sul proprio viso.

Alcune persone hanno visto il volto di un genitore, in alcuni casi deceduto.

Altre volti sconosciuti, animali o addirittura esseri mostruosi.

Pensi che potremmo provarci anche noi?

Io più che altro ho preso in considerazione l’idea come metafora.

Secondo te che ruolo ha la lampada?

Come possiamo noi illuminarci meglio per vedere nello specchio?

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