TEAM

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Si è conclusa l’edizione del Concorso Bisarca 2025 a cura di Il Perdilibri.

 

Sai che ormai il Concorso Bisarca è diventato una piacevole tradizione.

 

Il tema scelto quest’anno è l’acqua in qualsiasi forma o accezione.

 

Ti consiglio di non perdere i racconti: hanno partecipato Silvia di Come cerchi nell’acqua, Luisa di Words and Music and Stories, Massimo di Orearovescio, Francesca di Tersite, Camu di Due chiacchiere

 

Ha vinto il racconto di Luca Manganelli: L’orologiaio che racconta di una bottega davvero molto particolare.

 

E poi c’è il mio Team 🙂

Chiamata entrante per collega già al telefono, pronto, buon pomeriggio, al momento è occupata, posso essere utile?
Voce fuori campo e anche un po’ fuori luogo: no no, passa, prendo io.
Io è una miscela carica di robustezza verbale e intensità autoreferenziale. Le piace che tutto ciò che vuole seguire abbia la sua firma, tanto da indurre a riconsiderare il concetto di marcatura del territorio.
Occhiali particolari intorno a un viso avaro di sorrisi, riccioli neri e quella sorta di eccentricità che oscilla tra il rigorosamente pantaloni e il per carità un tailleur mai.
Temperamento estrinsecato negli accostamenti di colori accompagnati da vistose collane.
La curiosità di dare una spiegazione a ogni singolo dettaglio incastrata nella divisa da nazi-grammar, pesante di ulteriori titoli vari o ulteriori vario titolo, che dir si voglia.

Posso essere utile e Io lavorano nello stesso ufficio da due anni di salite e cadute, di nervosismo e biscotti, di tensione e autoapprendimento.

Al vertice, ma non propriamente al comando, una determinata del buonumore arrivata a controbilanciare Io, iniziando dal ciuffo castano e sbarazzino che avvia la sdrammatizzazione già dallo sguardo.

Determinata è preparata tanto quanto competente, cordiale tanto quanto abile, sobria tanto quanto contemporaneacontinua qui

LA FABBRICA DELLE RAGAZZE

LA FABBRICA DELLE RAGAZZE

La Fabbrica delle Ragazze di Ilaria Rossetti edito da Bompiani: prendi nota di questo titolo, te lo consiglio.

 

Io sono nuovamente grata a Monica: lo ho letto grazie a lei e mi è piaciuto tanto.

 

La Fabbrica delle Ragazze nasce dalla ricerca dell’autrice improntata sulle morti sul lavoro, ma è molto di più.

 

È il racconto di un fatto storico letteralmente cancellato, è la descrizione di luoghi che riconosco in un certo senso come familiari e testimonia anche la teoria dei sei gradi di separazione.

 

Ma soprattutto è un libro scritto davvero bene.

 

I miei complimenti a Ilaria Rossetti.

 

La Fabbrica delle Ragazze sorge a Bollate, durante la prima guerra mondiale, per far fronte all’esigenza di armi, bombe e munizioni per rifornire il fronte.

 

Ecco perché “delle ragazze:” unica forza lavoro rimasta, idonee in particolare per le loro mani piccole.

 

Sai che non amo svelare troppo ma tengo a sottolineare l’importanza di diffondere la storia di persone usate e poi cancellate perché la macchina della guerra non può fermarsi, allora come ora.

 

Dunque si arriva persino a radere al suolo, lasciando solo solchi nella terra e nei cuori di chi ha vissuto, nell’attesa che la memoria si spenga insieme alla vite di chi conosceva la realtà dei fatti.

 

Per questo è importantissimo che continuiamo a raccontare noi, al posto loro, questa e tutte le storie altrettanto scomode.

 

Il primo è stato un narratore d’eccellenza: nientemeno che Ernest Hemingway che il destino ha condotto dall’America fino a Castellazzo di Bollate proprio a seguito dell’esplosione della fabbrica, narrata nei famosi Quarantanove Racconti

 

Sul luogo, completamente ricoperto dagli alberi, rimane soltanto una cabina elettrica, con un murale molto suggestivo.

 

La Fabbrica delle Ragazze

 

Altri personaggi del libro invece conducono il lettore fino a Milano, seguendo la via del fiume Seveso, dipingendo un viaggio nella natura e nel tempo.


Tu hai mai ascoltato racconti di nonni tuoi o “acquisiti”?
I nonni in fondo sanno diventare nonni di tutti, o sbaglio?

C’è una storia da tramandare anche nel luogo in cui vivi tu?

RACCONTI NANI NON DEMOCRISTIANI

RACCONTI NANI NON DEMOCRISTIANI

L’ultima lettura che devo a Manuale di Mari è Racconti nani non democristiani di Andrea Francavilla.

I racconti sono nani per quanto riguarda la lunghezza ma emerge subito la capacità dell’autore di evocare situazioni e contesti nel giro di poche parole costruendo i personaggi attraverso i loro dialoghi.

 

I racconti non sono democristiani, tu personalmente come interpreteresti questa definizione?
L’autore tra i ringraziamenti cita un amico proprio per questo titolo.

Questi Racconti nani non democristiani hanno un denominatore comune: una notte di piogga.

 

Non so tu, se penso alle parole “notte” e “pioggia” immediatamente mi viene in mente la famosissima frase dal film Il corvo: Non può piovere per sempre.


Si tratta di una frase che mi accompagna da molti anni, come una sorta di mantra nei momenti difficili.

 

Ti piace la pioggia?
Quando piove esci volentieri?

I protagonisti del libro sono quello che si potrebbe definire un repertorio di varia umanità e ben rappresentano disagi, fragilità, errori, dubbi, imperfezioni, e tutte le variegate sfaccettatura delle difficoltà del vivere.


Faccio i miei complimenti all’autore per come ha saputo chiudere il cerchio.

Racconti nani non democristiani è un’opera prima ma mi auguro che potremo presto leggere ancora Andrea Francavilla.


Nella sua bio si dice convinto che dietro ogni problema si nasconda un’opportunità e io personalmente ho solo da imparare.

 

RACCONTAMI UNA STORIA

RACCONTAMI UNA STORIA

Raccontami una storia è l’iniziativa a cura di Maria Guidi, La tana di Aloiz e Sandra Giannetto

 

Raccontami una storia è un gioco che consiste nello scrivere un racconto seguendo alcune indicazioni e un tema.

 

Il tema della seconda edizione: “trarre ispirazione da un quadro!”

 

Ti suggerisco di seguire le organizzatrici per scoprire le interviste ai tre vincitori.

 

Se poi ne hai voglia, puoi leggere il mio racconto

Anche questa mattina osservo il sole sorgere oltre lo scheletro del palazzo di fronte: da quando il tenue rosa aranciato ha iniziato a contrastare il grigio illuminando cielo e speranza, non voglio perdermi i colori perché sono la prova che non è ancora finita.

Pensavo che non li avrei più visti, pensavo che la mia punizione per non essere ancora esplosa fosse quella di diventare parte inutile di un unico plumbeo tetro inesorabile scenario.

Mi pento di non essere stata capace di contare con precisione i giorni, di aver ceduto alla confusione, di non essermi presa cura nemmeno della mia memoria.
Se lo avessi fatto, ora potrei sapere quanto tempo è passato.

Ma io non volevo più pensare, volevo solo che tutto finisse. Ogni nuovo giorno era soltanto un altro pasto saltato, un altro interminabile buio disseminato di angoscia, un altra serie di sfinenti quanto fallimentari sforzi alla ricerca di una soluzione impossibile.

Invece la luce ha ricominciato a scandire il tempo e ormai ci credo, non è solo un sogno, né un caso, e neppure la mia illusione: il sole esiste ancora.

Resta un nemico in agguato però: la paura.

Non sono stata colpita, non sono stata schiacciata, non sono stata asfissiata, e sono anche riuscita a nascondermi dalle incursioni degli sciacalli umani, ma ancora non riesco a liberarmi dalla morsa che pressa il cervello e mi paralizza.

Mi ripeto che non ha senso.
Poi rivivo tutto.

La gigantesca palla che incendia il cielo e che di colpo rimbalza verso l’alto, e subito l’onda d’urto.
Un macabro domino accelerato che frantuma ogni cosa.
Senza che i miei occhi avessero tempo di vedere, il calore mi era già addosso.

Il dolore non è cibo.

Ma devo mangiarne ancora, se occorre per trovare del nutrimento vero.
E poi Frances è allo stremo delle forze e io voglio fare tutto il possibile, proprio come ha fatto lei dal momento in cui mi ha trascinata di peso nella cisterna, fino a quando mi ha insegnato come calarmi nel cunicolo per arrivare al magazzino.

Teneva la corda e cantava gli U2 per farmi coraggio
You’r in the mud
In the maze of her imagination
You love this town
Even if that doesn’t ring true

La prima volta volevo che smettesse ma non osavo urlarlo per il terrore che qualcuno dei predoni che piombano addosso come Unni mi sentisse. Eppure se non ci fossero state quelle parole cantate “sky falls, you feel like … it’s a beautiful day …” non sarei riuscita a trovare abbastanza forza per risalire.

Più cose riuscivo a portare, più a lungo avrei potuto riposare di nuovo nascosta.

E pensare che nelle varie occasioni in cui ci avevo più o meno provato, non ero mai riuscita ad arrampicarmi lungo una fune: le mani bruciavano entro qualche minuto e gli inesistenti muscoli delle braccia nemmeno facevano la finta di contrarsi.

Sopravvivenza.
Una immane sfida da superare per restare vivi, anche quando restare vivi sembra la peggiore delle idee.
Adrenalina, istinto, terrore, si miscelano in un circolo chiuso di pulsazioni che rimbalzano tra cuore e cervello a velocità incontrollabile.

Sopravvivenza.
Forza che diventa carne divisa tra due teste: speranza e disperazione. Come un Cerbero le cui zampe poggiano sul respiro con tutto il loro angosciante peso.

Sopravvivenza.
Pensare che non potrà mai esserci niente di peggiore finché l’esistenza non si trasforma in attesa.

Attesa di tregua, attesa di cibo, attesa di pietà. Attesa di un miracolo, di aiuto, di un nuovo giorno.

Come oggi.

 

Il dipinto è Light and Colour (Goethe’s Theory) di William Turner.

 

L’ULTIMA CORSA

L’ULTIMA CORSA

L’ultima corsa è il titolo del mio racconto per il concorso Bisarca 2024 organizzato da Il Perdilibri.

Ti ho già parlato del Concorso Bisarca in occasione delle passate edizioni: ma cito direttamente: che si vince? La soddisfazione della partecipazione e dell’eventuale vittoria.

Colgo dunque l’occasione per ringraziare Il Perdilibri per aver accolto L’ultima corsa.

L’abitudinarietà è considerata come dipendenza, ma anche farsi domande è un’abitudine.

Eleonora però non è solita dubitare dei suoi programmi, a partire dalla sveglia: per la quale sono previste tre ripetizioni prima di alzarsi, ogni giorno, indipendentemente da stanchezza, condizioni atmosferiche, fame, o livello di stress.
Dopodiché è tutto calcolato, incluso il ritardo, un lusso offertole da un anonimo viaggiatore.
Tra i soliti pendolari si crea una sotto-abitudine di gruppo: una sorta di codice non scritto secondo il quale, invasori saltuari a parte, i posti vengono occupati in base a una specie di gerarchia acquisita nel tempo.
Eleonora ricorda il giorno in cui colui con il quale condivide il sedile le ha fatto cenno: “da oggi è libero” sono state le uniche parole diverse da buongiorno e buona giornata, che si sono scambiati in un periodo che può essere di mille giorni ormai.
Eleonora arriva alle sei e quarantatré minuti, certa di trovare il posto riservato dal suo compagno di viaggio, che come sempre appoggia la sua valigetta sul lato finestrino finché lei non lo raggiunge.
Tutto ciò che sa di lui è che si reca quotidianamente a Milano, che ascolta perennemente qualcosa agli auricolari, che predilige abiti classici e di buona qualità nei toni del grigio, e che usa un profumo con Vetiver come nota di fondo.
Ogni mattina si scambiano un singolo buongiorno ciascuno, Eleonora si siede, prende il libro dalla borsa e inizia a leggere.
In questi mille giorni avrà letto un centinaio di libri, tutti in rigoroso silenzio fino all’arrivo a Porta Garibaldi, quando il suo compagno di viaggio le augura buona giornata prima di scendere, lasciandola seduta ai suoi minuti di rito durante i quali lei aspetta che la folla si diradi.

Se vuoi, trovi il resto qui

Ma prima dimmi: per te quale potrebbe essere l’ultima corsa?

In effetti gli esempi sono tanti: libri, film, a livello personale però, il tuo primo istinto ti induce a pensare a ultima in maniera positiva o negativa?

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