CUCCHIAINI

CUCCHIAINI

Il magico mondo dei cucchiaini era il titolo della mostra a Vigevano che io però mi sono persa.

Ho potuto recuperare le immagini qui ma a proposito di cucchiaini mi piacerebbe scambiare due chiacchiere.

Innanzitutto ammetto che io ho smesso di usare cucchiaini dal momento che non metto zucchero nel caffè, anche se in questo modo violo le regole del bon ton che prevedono che il cucchiaino venga servito sempre.

Non solo: sbaglio anche perché non seguo i consigli degli esperti che dicono che l’espresso va mescolato comunque.

Tu usi il cucchiaino?
Hai un cucchiaino particolare che prediligi?

Ci sono cucchiaini davvero fantasiosi in effetti, ecco per esempio il New Wave di Villeroy & Boch

o il set Alessi, anche in questo caso siamo fuori dal Galateo però, che prevede che i cucchiaini siano uguali tra di loro

e avevi mai visto l’ESpoon di Lavazza?

Esiste anche un cucchiaino “salva-crema.”

Se poi la crema si abbina a questo ciocc… cucchiaino il risultato non è sublime?

E tu che cucchiaino usi?

Tra i cucchiaini che abbiamo io preferisco quelli a quadretti bianchi e gialli, che non sono eleganti, ma sono molto simpatici.

Ci crederesti se ti dicessi che sono riuscita a perderne ben due?

Chi li perde, chi li fa cadere … Salvador Dalì ha reso i cucchiai simbolo della sua ricerca sull’onirico.

Ti è mai capitato di risvegliarti durante un sogno e di avvertire il desiderio di memorizzare le immagini nella tua testa nell’istante stesso in cui svaniscono?

Salvador Dalì si addormentava dopo pranzo sulla poltrona con un cucchiaio in mano, consapevole che quando il suo sonno sarebbe stato profondo, le sue dita avrebbero lasciato cadere il cucchiaio, e aspettandosi che il tonfo del cucchiaio lo avrebbe svegliato bruscamente permettendogli di ricordare.

Indubbiamente ci ha regalato opere da sogno, se mi concedi questo gioco di parole.

Tra l’altro i cucchiaini sono anche simbolo di fortuna: ancora prosegue la tradizione di regalare cucchiaini d’argento ai nuovi nati.

Questa abitudine deriva dal Medioevo: quando i nuovi nati delle famiglie nobili ricevevano in dono un cucchiaino d’argento come prova di ricchezza fin dalla nascita.

Born with a silver spoon in one’s mouth.

Il tuo com’era?

Io non ho avuto cucchiaini d’argento, ma mi ritengo ugualmente fortunata, e posso sempre riempire il mio cucchiaino vuoto con una bella dose di Nutella, o no? laughing

Buon caffè dunque, magari ispirandosi all’eleganza di Liz per mescolarlo, che dici?

FAME D’ARIA

FAME D’ARIA

Fame d’aria è l’ultimo libro di Daniele Mencarelli edito da Mondadori.

Daniele Mencarelli ormai non ha più bisogno di presentazione da un pezzo.

Fame d’aria mi è piaciuto molto per la struttura, per la scrittura e per il modo con il quale in tempo reale il lettore riceve tutto il carico dei diciotto anni di vita con Jacopo.

Jacopo non è il protagonista, Jacopo è il figlio di Pietro, un uomo.

Dico solo un uomo perché è quello che ho pensato conoscendolo una riga dopo l’altra.

Pietro non è un supereroe, non è un paladino, non è neanche un esempio. Pietro è semplicemente una persona, un essere umano come lo sono tutti coloro che cercano di comportarsi nella maniera giusta contro le ondate di quella tempesta che è la vita: un incessante e continuo sferzare che si abbatte inesorabile.

Anche per questa lettura ringrazio Monica, e poi dico grazie anche a Luciana per avermi segnalato l’incontro con lo scrittore organizzato da Il piacere di raccontare

In questo modo ho potuto ascoltare direttamente le parole di Daniele Mencarelli e scoprire come è nata la sua esigenza di raccontare questa storia.

Circa sei anni fa ha incontrato un Pietro e ha iniziato a mettere insieme i tasselli, dettagli che sembrano non avere importanza finché l’accumulo diventa un elemento che si trasforma in scrittura, pensando a come tradurre un ricordo “salvato con nome” come fosse un documento che ha il potere di illuminare il percorso al quale dare vita.

L’immersione dentro una vita non sua è stato brutale per Daniele Mencarelli, non si è permesso nessun fregio che nascondesse lo sfregio che doveva sempre prevalere.

In questo libro l’autore è passato alla terza persona mantenendo però sempre il presente perché ama dare l’impressione che i fatti avvengano mentre vengono letti perché li sente meno distanti.

Devo dire che l’obiettivo è stato pienamente raggiunto perché anche io da lettrice mi sono sentita letteralmente dentro la storia.

Il romanzo ha un antefatto: nel 2000, mentre va a prendere una birra, Pietro incontra Bianca. Si riconoscono ed è colpo di fulmine.

Nel 2023 Pietro è un cinquantenne e la sua macchina si guasta nel Molise, con lui non c’è Bianca ma c’è il figlio Jacopo che ha 18 anni e che purtroppo è autistico a bassissimo funzionamento.

Il paese dove si fermano per cercare un meccanico: Sant’Anna del Sannio non esiste nella realtà anche se assomiglia a tanti posti che ognuno di noi può identificare.

Pietro e Jacopo sono diretti in Puglia dove li aspetta la moglie per festeggiare il ventesimo anniversario di matrimonio.

L’imprevisto dura tre giorni e ruota intorno a tre personaggi: Oliviero il meccanico, Agata la titolare del bar, e Gaia. Grazie a lei si entra nel mondo interiore del padre e si scopre tutto quello che manca alle famiglie come la loro.

Seme fondamentale: la scena come momento di svelamento dell’umano. Esattamente come ti dicevo, il Pietro che è arrivato a me.

Daniele Mencarelli nasce come poeta, la poesia riesce a dare un nome alle cose, coglie la profondità rispetto alla scena. Narrativa invece è architettura di scene che poi assume forma di trama e di arco psicologico dei personaggi.

Infatti la poesia non deve essere “poetichese”, ma deve vivere dentro gli elementi della forma romanzo.

La letteratura è un gesto che vuole essere di testimonianza.

Queste parole di Daniele Mencarelli trovano una particolare concretizzazione nel libro Fame d’aria secondo me.

Ma quello che mi ha maggiormente colpita è stato conoscere la personale “fame d’aria” dell’autore.

Pagine troppo inchiostrate che danno un senso di claustrofobia.

Da questa “fame d’aria” nasce letteralmente l’esigenza di aprire degli spazi verticali nel racconto orizzontale.

La necessità di percepire molta presenza di bianco, cioè bisogno di spezzare la frase e andare a capo come se fosse un bisogno di aria.

Ragionando da poeta in certi momenti dell’umano si arriva con una lingua spezzata. Nei luoghi più alti dell’uomo si arriva solo con la lirica.
Una personale fame d’aria.

E tu? Quando avverti la tua fame d’aria?

LA RILEGATRICE DI STORIE PERDUTE

LA RILEGATRICE DI STORIE PERDUTE

La rilegatrice di storia perdute è il libro che ho letto ancora una volta grazie a Monica.

A proposito di amicizia, Sas Bellas Mariposas e Mamaglia sono esperte conoscitrici dell’autrice: Cristina Caboni, chissà se magari vorranno raccontarci qualcosa.

Nel frattempo io vorrei chiacchierare più di come mi sono piaciute in particolare le parti che descrivono il procedimento di rilegatura nel primo Ottocento.

Oggi quanto tempo occorre per creare un libro?
Sul web si trovano varie opzioni di consegna in 24 ore.

E ogni volta ci ritroviamo con la solita domanda: abbiamo guadagnato o abbiamo perso?

Recentemente con mio marito ci siamo ritrovati alla ricerca di una figura che svolgesse ancora una professione legata alle tradizioni del passato, ma qui in zona purtroppo abbiamo dovuto constatare l’estinzione di determinati tipi di lavoro.

Trovo molto triste che si sia interrotta quella preziosa catena del tramandare il sapere e dell’insegnare la pazienza e il tempo che occorrono per acquisire abilità.

È quasi come se, interrompendo la tradizione orale, ci priveremo del privilegio di poter conoscere storie perché non ci sarà più nessuno a raccontarle.

Mi piacerebbe quindi moltissimo riprendere il concetto di “rilegatura” di storie perdute per unirle e per continuare a fare in modo che vivano con noi.

Ho trascorso molto tempo ad ascoltare una delle mie nonne che raccontava della sua infanzia in una famiglia contadina, parlarmi di un’epoca apparentemente lontanissima, di uno stile di vita essenziale, di oggetti che noi non useremo mai.

L’altra mia nonna invece ha avuto meno vita a disposizione ma ugualmente i suoi racconti rimangono indelebili, così come le sue ginocchia da mondina

Il mio bisnonno invece faceva il carité, il carrettiere ed è il suo viaggiare per lavoro che ha fatto sì che sposasse la mia bisnonna: tedesca, a dispetto del detto “moglie e buoi dei paesi tuoi …” scherzi a parte, il loro è stato un matrimonio piuttosto anticonformista considerati periodo storico e condizioni sociali.

Ma dimmi tu! Mi piacerebbe moltissimo “ascoltarti.”

Se hai un mestiere da raccontare, se vuoi che una storia non vada persa, se desideri tramandare un racconto, un pensiero, un concetto, un proverbio, una esperienza o anche semplicemente un commento, io te ne sarò grata e lo aggiungerò alle storie perdute da rilegare.

 

CAT AT THE MET

CAT AT THE MET

Cat at the Met è la definizione che mi è venuta in mente quando ho visto queste immagini

 

sul subito ho sorriso ma poi mi sono chiesta cosa abbia spinto Jared Leto a vestirsi da gatto

Siamo al Met Gala: un evento creato per raccogliere fondi per il Metropolitan Museum of Art’s Costume Institute che negli anni è diventato un evento prestigioso e ambito non soltanto nel mondo della moda tanto che i biglietti, per chi non è incluso nella lista di inviti, hanno prezzi astronomici.

Nonostante ciò il Met Gala prevede una regola ferrea: niente cellulari e di conseguenza niente condivisioni sui social media.

Questo forse contribuisce all’immagine di esclusività che Anna Wintour ha costruito negli anni rendendolo un appuntamento che qualcuno definisce come “l’Oscar della moda.”

Da fan di Meryl io inevitabilmente associo Miranda Priestly, tra l’altro hai visto che nel video compariva proprio Andy? smile

Torniamo dunque al gatto: Jared Leto non è stato il solo a voler interpretare il dress code di questa edizione omaggiando Choupette, ovvero la gatta di Karl Lagerfeld.

Il Met Gala 2023 era infatti dedicato a Karl Lagerfeld anche come anticipazione della mostra del Costume Institute A line of beauty: presso il Metropolitan Museum dal 5 maggio al 16 luglio.

Indubbiamente vestirsi da gatto ha fatto sì che persino noi nel nostro piccolo ne stiamo parlando, ma al di là di questo, tu la trovi un’idea geniale o irriverente?

Pensi che questa partecipazione abbia aggiunto un contributo di valore o rischi di scivolare verso la caduta di stile?

Possiamo considerarlo come un tocco di ironia oppure può essere un’occasione persa per dare magari un messaggio?

In generale credo che abbiamo tutti molto bisogno di leggerezza, sicuramente abbiamo anche da imparare dai gatti.

Intanto dovremmo forse convincere Jared Leto ad essere meno tea guy smile che ne dici?

E forse anche meno Cat at the Met.

Scherzi a parte, ora che ha felinamente ottenuto la nostra attenzione, ci aspettiamo grandi cose dal nuovo album dei Thirty seconds to Mars  in uscita l’8 maggio, in particolare dopo le dichiarazioni rilasciate: l‘ascolto della musica italiana anni 80  durante le riprese del film House of Gucci nel quale Jared intrepretava Paolo Gucci, ha lasciato una importante impronta di ispirazione perché capace di raggiungere il cuore.

Come dargli torto?

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