INCIPIT

INCIPIT

Incipit: nei codici e nelle prime stampe, parola iniziale della formula che si poneva di solito al principio di un’opera, o di parte di essa, con le indicazioni del titolo e del nome dell’autore.
Nell’uso filologico e bibliografico il termine indica la citazione delle parole iniziali di un testo, che da sola o insieme con quella delle parole finali, l’explicit, serve a individuarlo chiaramente.

Massimo Legnani del blog Orearovescio ha condiviso e anche vinto il premio Scripta Ludus a cura di Luz del blog Io, la letteratura e Chaplin

Scripta Ludus è il gioco degli incipit

I partecipanti devono scegliere una delle tre foto proposte e inviare il proprio incipit, ossia “l’inizio di un’opera di narrazione” che deve possedere pertanto la caratteristica di “aprire una storia” con l’intento di catturare l’attenzione di chi legge e non può limitarsi a una descrizione di ciò che si vede.

Carino vero?

Cosa rappresenta l’incipit per te?

Nel caso in cui un incipit non sappia destare il tuo interesse:

  • prosegui comunque la lettura nella fiduciosa speranza di appassionarti alla storia raccontata.

  • inizi a distrarti e improvvisamente il libro appare più lungo di quanto non ti sembrasse quando lo hai scelto.


O forse potresti essere tra coloro che gli incipit li leggono prima.

Ci sono incipit diventati famosissimi, ne vuoi citare qualcuno?

Il mio incipit per Scripta Ludus:

Licenziamento per soppressione della posizione.
Una sequenza di vocali e consonanti che non dovrebbero comporre queste parole.
Non dopo tutto l’impegno, dopo tutte le pause saltate, dopo tutte le ore aggiuntive senza retribuzione.
Soppressione della posizione.
Ma se da mesi non c’è un attimo di tregua!
Soppressione della posizione.
Così, senza preavviso?
Soppressione della posizione.
E se mi rifiuto di firmare?
Marcello si è presentato all’appuntamento con il responsabile delle risorse umane sette minuti fa.
Sette minuti fa era quando pensava che avrebbe finalmente ricevuto un aumento.
Sette minuti fa era quando fantasticava di riuscire a portare l’auto dal carrozziere.
Ora invece le ammaccature di cui occuparsi sono improvvisamente ben più gravi del paraurti scassato.
Di colpo tutto diventa confuso, impossibile concentrarsi.
Metabolizzare, reagire, agire, elaborare, tutti verbi che sbiadiscono avvolti nel fumo della rabbia, nascosti dallo sconforto, vanificati dalla paura.
I sette minuti diventano settanta e la tastiera con il piedino rotto, la sedia sbilenca, il caffè annacquato del distributore sembrano già pezzi di vita rapiti.
E quando settanta sono le ore trascorse, ancora il rifiuto di accendere il portatile per scrivere un curriculum è totale.
Quanti invii ci vorranno prima di ricevere la prima risposta negativa?
Quanti invii ci vorranno prima di dover smettere di selezionare gli annunci, perché in fondo un lavoro serve?
Marcello è seduto per terra con la schiena appoggiata al muro freddo forse ancor più del pavimento, da quella posizione guarda le mensole sopra al tavolino che usa come scrivania.
Il tempo ha depositato strati di polvere su quei ripiani che accolgono libri, buste, la sveglia a carica manuale dei tempi della scuola, tre diverse action figures di Batman e la pallina blu.
Istintivamente Marcello sente l’esigenza di prenderla, si alza, allunga una mano, ma il semplice contatto accende nella sua mente il ricordo di quando per lanciare la pallina occorrevano entrambe le sue manine.
E di colpo si ricorda tutto.
Il lago, sua madre, i suoi piedini che restano fermi, i tonfi con il sedere al suolo.
Accetta di camminare solo se la mamma lo tiene per mano diversamente sono capricci, e da parecchio ormai ogni invito a provare a muovere qualche passo da solo riceve per tutta risposta un incaponimento: niente da fare, senza il sostegno di mamma i piedi rimangono ben piantati a terra.
Finché quel giorno, dopo l’ennesima esortazione, per protesta lancia la palla contro i fiori ma il rimbalzo sul bordo del vaso la spinge oltre il giardino e la pendenza la fa rotolare fino all’acqua.
La palla!”
Andata, persa.
Dopodiché Marcello non sa più se ha pianto, quanto tempo la mamma trascorre in acqua, quante volte la nonna la chiama ripetendo “NO!”
Però rammenta nitidamente l’istante in cui le braccia della nonna lo posano sul molo, in fondo c’è la mamma stanca ma sorridente.
E ricorda bene il momento in cui i suoi piedi decidono di portarlo fino alle braccia di mamma pronte ad accoglierlo.
Appoggia la pallina sul tavolo, apre il laptop e inizia a digitare: Lettera di presentazione.


In caso nutrissi curiosità riguardo alle immagini selezionate, le trovi qui

 

TEAM

TEAM

Si è conclusa l’edizione del Concorso Bisarca 2025 a cura di Il Perdilibri.

 

Sai che ormai il Concorso Bisarca è diventato una piacevole tradizione.

 

Il tema scelto quest’anno è l’acqua in qualsiasi forma o accezione.

 

Ti consiglio di non perdere i racconti: hanno partecipato Silvia di Come cerchi nell’acqua, Luisa di Words and Music and Stories, Massimo di Orearovescio, Francesca di Tersite, Camu di Due chiacchiere

 

Ha vinto il racconto di Luca Manganelli: L’orologiaio che racconta di una bottega davvero molto particolare.

 

E poi c’è il mio Team 🙂

Chiamata entrante per collega già al telefono, pronto, buon pomeriggio, al momento è occupata, posso essere utile?
Voce fuori campo e anche un po’ fuori luogo: no no, passa, prendo io.
Io è una miscela carica di robustezza verbale e intensità autoreferenziale. Le piace che tutto ciò che vuole seguire abbia la sua firma, tanto da indurre a riconsiderare il concetto di marcatura del territorio.
Occhiali particolari intorno a un viso avaro di sorrisi, riccioli neri e quella sorta di eccentricità che oscilla tra il rigorosamente pantaloni e il per carità un tailleur mai.
Temperamento estrinsecato negli accostamenti di colori accompagnati da vistose collane.
La curiosità di dare una spiegazione a ogni singolo dettaglio incastrata nella divisa da nazi-grammar, pesante di ulteriori titoli vari o ulteriori vario titolo, che dir si voglia.

Posso essere utile e Io lavorano nello stesso ufficio da due anni di salite e cadute, di nervosismo e biscotti, di tensione e autoapprendimento.

Al vertice, ma non propriamente al comando, una determinata del buonumore arrivata a controbilanciare Io, iniziando dal ciuffo castano e sbarazzino che avvia la sdrammatizzazione già dallo sguardo.

Determinata è preparata tanto quanto competente, cordiale tanto quanto abile, sobria tanto quanto contemporaneacontinua qui

RACCONTAMI UNA STORIA

RACCONTAMI UNA STORIA

Raccontami una storia è l’iniziativa a cura di Maria Guidi, La tana di Aloiz e Sandra Giannetto

 

Raccontami una storia è un gioco che consiste nello scrivere un racconto seguendo alcune indicazioni e un tema.

 

Il tema della seconda edizione: “trarre ispirazione da un quadro!”

 

Ti suggerisco di seguire le organizzatrici per scoprire le interviste ai tre vincitori.

 

Se poi ne hai voglia, puoi leggere il mio racconto

Anche questa mattina osservo il sole sorgere oltre lo scheletro del palazzo di fronte: da quando il tenue rosa aranciato ha iniziato a contrastare il grigio illuminando cielo e speranza, non voglio perdermi i colori perché sono la prova che non è ancora finita.

Pensavo che non li avrei più visti, pensavo che la mia punizione per non essere ancora esplosa fosse quella di diventare parte inutile di un unico plumbeo tetro inesorabile scenario.

Mi pento di non essere stata capace di contare con precisione i giorni, di aver ceduto alla confusione, di non essermi presa cura nemmeno della mia memoria.
Se lo avessi fatto, ora potrei sapere quanto tempo è passato.

Ma io non volevo più pensare, volevo solo che tutto finisse. Ogni nuovo giorno era soltanto un altro pasto saltato, un altro interminabile buio disseminato di angoscia, un altra serie di sfinenti quanto fallimentari sforzi alla ricerca di una soluzione impossibile.

Invece la luce ha ricominciato a scandire il tempo e ormai ci credo, non è solo un sogno, né un caso, e neppure la mia illusione: il sole esiste ancora.

Resta un nemico in agguato però: la paura.

Non sono stata colpita, non sono stata schiacciata, non sono stata asfissiata, e sono anche riuscita a nascondermi dalle incursioni degli sciacalli umani, ma ancora non riesco a liberarmi dalla morsa che pressa il cervello e mi paralizza.

Mi ripeto che non ha senso.
Poi rivivo tutto.

La gigantesca palla che incendia il cielo e che di colpo rimbalza verso l’alto, e subito l’onda d’urto.
Un macabro domino accelerato che frantuma ogni cosa.
Senza che i miei occhi avessero tempo di vedere, il calore mi era già addosso.

Il dolore non è cibo.

Ma devo mangiarne ancora, se occorre per trovare del nutrimento vero.
E poi Frances è allo stremo delle forze e io voglio fare tutto il possibile, proprio come ha fatto lei dal momento in cui mi ha trascinata di peso nella cisterna, fino a quando mi ha insegnato come calarmi nel cunicolo per arrivare al magazzino.

Teneva la corda e cantava gli U2 per farmi coraggio
You’r in the mud
In the maze of her imagination
You love this town
Even if that doesn’t ring true

La prima volta volevo che smettesse ma non osavo urlarlo per il terrore che qualcuno dei predoni che piombano addosso come Unni mi sentisse. Eppure se non ci fossero state quelle parole cantate “sky falls, you feel like … it’s a beautiful day …” non sarei riuscita a trovare abbastanza forza per risalire.

Più cose riuscivo a portare, più a lungo avrei potuto riposare di nuovo nascosta.

E pensare che nelle varie occasioni in cui ci avevo più o meno provato, non ero mai riuscita ad arrampicarmi lungo una fune: le mani bruciavano entro qualche minuto e gli inesistenti muscoli delle braccia nemmeno facevano la finta di contrarsi.

Sopravvivenza.
Una immane sfida da superare per restare vivi, anche quando restare vivi sembra la peggiore delle idee.
Adrenalina, istinto, terrore, si miscelano in un circolo chiuso di pulsazioni che rimbalzano tra cuore e cervello a velocità incontrollabile.

Sopravvivenza.
Forza che diventa carne divisa tra due teste: speranza e disperazione. Come un Cerbero le cui zampe poggiano sul respiro con tutto il loro angosciante peso.

Sopravvivenza.
Pensare che non potrà mai esserci niente di peggiore finché l’esistenza non si trasforma in attesa.

Attesa di tregua, attesa di cibo, attesa di pietà. Attesa di un miracolo, di aiuto, di un nuovo giorno.

Come oggi.

 

Il dipinto è Light and Colour (Goethe’s Theory) di William Turner.

 

L’ULTIMA CORSA

L’ULTIMA CORSA

L’ultima corsa è il titolo del mio racconto per il concorso Bisarca 2024 organizzato da Il Perdilibri.

Ti ho già parlato del Concorso Bisarca in occasione delle passate edizioni: ma cito direttamente: che si vince? La soddisfazione della partecipazione e dell’eventuale vittoria.

Colgo dunque l’occasione per ringraziare Il Perdilibri per aver accolto L’ultima corsa.

L’abitudinarietà è considerata come dipendenza, ma anche farsi domande è un’abitudine.

Eleonora però non è solita dubitare dei suoi programmi, a partire dalla sveglia: per la quale sono previste tre ripetizioni prima di alzarsi, ogni giorno, indipendentemente da stanchezza, condizioni atmosferiche, fame, o livello di stress.
Dopodiché è tutto calcolato, incluso il ritardo, un lusso offertole da un anonimo viaggiatore.
Tra i soliti pendolari si crea una sotto-abitudine di gruppo: una sorta di codice non scritto secondo il quale, invasori saltuari a parte, i posti vengono occupati in base a una specie di gerarchia acquisita nel tempo.
Eleonora ricorda il giorno in cui colui con il quale condivide il sedile le ha fatto cenno: “da oggi è libero” sono state le uniche parole diverse da buongiorno e buona giornata, che si sono scambiati in un periodo che può essere di mille giorni ormai.
Eleonora arriva alle sei e quarantatré minuti, certa di trovare il posto riservato dal suo compagno di viaggio, che come sempre appoggia la sua valigetta sul lato finestrino finché lei non lo raggiunge.
Tutto ciò che sa di lui è che si reca quotidianamente a Milano, che ascolta perennemente qualcosa agli auricolari, che predilige abiti classici e di buona qualità nei toni del grigio, e che usa un profumo con Vetiver come nota di fondo.
Ogni mattina si scambiano un singolo buongiorno ciascuno, Eleonora si siede, prende il libro dalla borsa e inizia a leggere.
In questi mille giorni avrà letto un centinaio di libri, tutti in rigoroso silenzio fino all’arrivo a Porta Garibaldi, quando il suo compagno di viaggio le augura buona giornata prima di scendere, lasciandola seduta ai suoi minuti di rito durante i quali lei aspetta che la folla si diradi.

Se vuoi, trovi il resto qui

Ma prima dimmi: per te quale potrebbe essere l’ultima corsa?

In effetti gli esempi sono tanti: libri, film, a livello personale però, il tuo primo istinto ti induce a pensare a ultima in maniera positiva o negativa?

CONCORSO BISARCA 2022

CONCORSO BISARCA 2022

 

Il Perdilibri è stato così cortese da accettare la mia partecipazione anche al concorso Bisarca 2022.

Che forte il logo, non trovi?


Quante Settimana Enigmistica mi hanno tenuto compagnia!
Sei nel tunnel anche tu?
Cruciverba o rebus, cosa preferisci?

Lo sapevi che è possibile fare le parole crociate online?
Io appena le ho trovate non ho potuto resistere perché subito dopo i Topolino sono state un’altra mia “dipendenza.”

Ho sentito però la mancanza: sfogliare per arrivare verso il fondo, verso i cruciverba di Bartezzaghi, ma riproverò.

Tornando al concorso Bisarca 2022, il tema scelto è “motivo / emotivo.”

Con l’emotività io sono un po’ come sulle montagne russe, e teoricamente dovrei stare ad un livello pro, per così dire, eppure il mio è un racconto molto semplice, e non so spiegarne il motivo …

Il signor Croda anche questa mattina è seduto davanti al caffè che Susanna gli ha servito senza che lui dicesse nulla: ormai è un rito, stessa ora, stesso posto, ultimo tavolino prima della fioriera.
Il signor Croda anche questa mattina per tenere a bada l’ansia conta mentalmente: ormai è preciso, non serve nemmeno più che controlli l’orologio, si discosta solo di qualche secondo.
Il signor Croda anche questa mattina vede la signora Pedretti uscire dalla chiesa dopo la celebrazione: ormai sa che lei si sofferma sul sagrato a chiacchierare con le amiche.
Ciò che non sa
lo trovi qui.

STRAPPI

STRAPPI

La fitta nebbia bagna i capelli grigi di Eugenia, a quanto pare quest’anno non sarà un Natale Bianco. Ormai siamo agli sgoccioli e l’anti-vigilia sta cercando di aprirsi un varco nel buio di queste corte giornate invernali.
Incurante di qualsiasi condizione atmosferica, Eugenia come ogni mattina si affanna a pulire il vialetto, non ce n’è alcun bisogno in realtà: l’unico risultato pratico è inzuppare le setole della scopa, ma lei non riesce a fare a meno di seguire il rituale giornaliero, come se volesse dimostrare al mondo che non è certo una che sta con le mani in mano.
Istintivamente alza lo sguardo verso il campanile: sono già le sette e cinque ormai e Rosa non è ancora uscita per la spesa, molto strano, pensa.
Pochi secondi dopo il rumore della pesante porta di legno cancella il sospetto: “buongiorno Eugenia!” Rosa abita nella casa di fronte da quando è nata. Viveva sola, come lei, fino al giorno in cui è impazzita: solo una matta poteva acconsentire ad affittare il piano superiore a quelli.
Buongiorno Rosa, tutto bene?”
Bene, bene grazie, tu come stai? Oggi il freddo si fa sentire!”
Stanotte ho visto la luce accesa sopra da te, non ti hanno lasciata dormire eh!?”
Ho dormito benissimo. Io non ho sentito nulla.”
Sei in ritardo, ho pensato fosse per … quella ragazzina non si vede mai per tutto il giorno, poi la notte cosa rimane alzata a …”
Vado a fare la spesa Eugenia, ti occorre qualcosa?” la interrompe seccata Rosa.
No, a posto, grazie, io lo dico per te, mi preoccupo, ti ho già avvisata, la gente parla, non vorrei che ti accadesse qualcosa di male.”
Non mi accadrà nulla, credimi, non c’è niente di strano: se avessi perso la mamma a quell’età probabilmente mi sarei chiusa in me stessa anch’io.”
Sì ma il punto è proprio la morte della madre, lo sai che tante cose non tornano …”
Ti saluto.” Rosa gira le spalle e a passo svelto si allontana da quel veleno.

Per lei è una gioia poter aiutare la famiglia Mori dopo che il resto del paese si è rifiutato di farlo, e poi lo spazio inutilizzato al piano superiore non faceva che ricordarle la sua solitudine.
In fondo non è stato poi così complicato creare un disimpegno che separasse gli ingressi, senza contare quanto fosse un peccato lasciare tutto quanto chiuso ad invecchiare staticamente insieme a lei.
Non c’era alcun motivo di negare alloggio a un padre con le sue due figlie, soprattutto dopo che la vita li ha colpiti così duramente.
L’immagine dei loro volti smarriti e stremati il giorno in cui si sono presentati alla sua porta è un amaro ricordo che riaffiora periodicamente.
Vedere Laura in particolare, con quel velo di tristezza sul volto, le aveva provocato una stretta al cuore. Lei e la sorella piccolina, chiusa in quei vestitini troppo stretti, non avevano pronunciato una singola parola mentre il padre le presentava cercando di spiegare che le dicerie della gente sono infondate: “a volte mi sembra un incubo, prima la malattia della mia Lucia e ora la cattiveria ingiustificata …” erano state le sue parole.
Rosa aveva tagliato corto nel tentativo di non dare alcuna importanza alle malelingue. Ma la situazione era effettivamente pesante, e aveva superato il limite dei semplici pettegolezzi.
Come accade in questi casi, non è chiaro quale sia stata l’origine, né chi sia stato il primo a muovere accuse così odiose: dopo la perdita del lavoro per poter stare accanto alla moglie durante il suo Calvario, e dopo l’incendio della loro casa, “iattura” è la sentenza circolata di bocca in bocca.
Colpevole senza diritto di appello: Laura, la prima figlia, sulla base della sua estraniazione dalla vita sociale.
A tal proposito il giorno della celebrazione delle esequie della signora Mori, Eugenia, piombando a battere sulla porta come se ci fosse un incendio in corso, per “avvisarla” aveva preso a farneticare affannandosi nel dire che la ragazza era stata vista aggirarsi sempre e solo di notte, oltre a una serie di assurdità fluite in uno sproloquio infarcito di ottusi pregiudizi.

Ma ti sei accorta che hanno rotto tutti i tuoi abitini? La hai vista la figlia piccola? Mancano pezzi un po’ qua e un po’ là, e poi qualcuno ha tentato di rammendare in una maniera a dir poco pietosa … sarà stata senz’altro la sorella, qualcuno dovrebbe intervenire!” Eugenia, come un piantone nella garitta, ha atteso davanti al cancellino il ritorno di Rosa per passare al secondo round.
Sono vestiti molto vecchi, è normale che la stoffa ceda e si rompa, piuttosto, visto che sei una sarta, potresti sistemarli meglio tu, se credi.”
Sono una sarta, non una maga, se tu vuoi essere cieca peggio per te” sbotta Eugenia allontanandosi a passi marcati per sottolineare la sua rabbia.
Mentre Rosa spera che questo furore la terrà lontana per qualche giorno, non può non convenire che in questo caso però Eugenia ha ragione.

La prima volta Rosa non ha dato peso all’evidente danno, ritenendolo semplicemente un normale incidente per una bambina di quell’età che gioca e si muove liberamente.
Era stata così entusiasta nel tirare fuori i vecchi abiti di sua nipote dal baule che li aveva custoditi per tutti quegli anni, felice di constatare di non aver sbagliato nel valutarli esattamente della misura giusta per la piccola Carlotta.
Vederla mentre li indossava sfilando davanti allo specchio era stato un divertimento, e dopo aver giocato entrambe alternando gli abbinamenti, li avevano riposti nell’armadio della cameretta che fino a quel momento era rimasto praticamente vuoto.
Davvero li possiamo usare?” aveva chiesto Laura con tono apprensivo.
Certo! Per me è una gioia!”
Al terzo abito danneggiato però il tuffo al cuore era stato inevitabile.
Un dono è un dono, non si può pretendere che chi lo riceve ne abbia una cura maniacale, ma certo tutti quei rammendi trasformavano il suo intento di migliorare le condizioni della bambina in un clamoroso fallimento.
Nonostante ciò, Rosa ad ogni occasione non aveva masi smesso di sorridere e di fare complimenti come se nulla fosse, accorgendosi che, così facendo, il broncio su quel visino rabbuiato veniva piano piano attenuato da fugaci espressioni di sollievo.
L’imbarazzo di quegli occhioni puntati verso il basso, le punte dei piedi costantemente ruotate verso l’interno con movimenti frenetici quanto involontari, risultavano segni evidenti del rammarico di Carlotta.
Quella soggezione non poteva essere sinonimo di colpevolezza, e Rosa era più che certa che nemmeno le stranezze di Laura, o il sordo trambusto notturno fossero indicativi di alcunché. Ascoltava i rumori sdraiata nel suo letto percependo una fallimentare cautela nel provare a contenerli.
Sentire segni di vita intorno, invece del solito agghiacciante silenzio, la aiutava a sprofondare in un sonno prolungato come non accadeva da molto tempo.
Il motivo di quegli strappi non era affar suo e forse un giorno avrebbe avuto modo di capirlo, certo bisognava prima instaurare un rapporto di fiducia, e per quello occorreva tempo.
Aumentare la dose di biscotti preparati con le formine natalizie, e lasciarli a portata di mano al centro di un piatto rosso posto strategicamente sul tavolo di ingresso, era indubbiamente un buon modo di iniziare a comunicare.
Un silenzioso, dolce, modo di comunicare.
Anche riprendere in mano i ferri da maglia le aveva riportato una piacevole sensazione di calore, come se la lana potesse riscaldare persino il suo cuore solitario.
Forse indumenti nuovi e più attuali avrebbero potuto rimediare agli indecorosi rammendi, valeva la pena tentare.

Ventitré rintocchi dal campanile avvisano che si è ormai fatto tardi, Rosa una volta rincasata non ha fatto altro che sferruzzare per terminare tutti i suoi lavori: vuole impacchettarli e farli trovare sull’ingresso dei suoi inquilini insieme a un bicchiere di latte mezzo vuoto e a qualche biscotto spezzettato, come prova della visita di Babbo Natale l’indomani.
Le mani esperte stanno compiendo una sorta di danza con il filo rosso che a ogni giro rimane arrotolato intorno a un cartoncino per comporre l’ultimo pon pon necessario, quando una serie di rumori provenienti dalle scale interrompono quei movimenti rapidi e decisi.
Forse a Laura occorre qualcosa, meglio andare a vedere, nonostante questo pensiero una certa esitazione trattiene Rosa: e se fosse una questione privata? Se avessero bisogno mi chiamerebbero.
Rosa non vuole fare l’impicciona come Eugenia, d’altra parte però non si ricorda di aver sentito rincasare il signor Mori.
Dopo attimi di indecisione, durante i quali sente parlottare, Rosa apre lentamente la porta un po’ in imbarazzo per l’invadenza che sta per dimostrare. Frattanto è tornato a regnare il silenzio, Rosa nel buio intravede una grossa sagoma e per un attimo rimane immobile, poi preme sull’interruttore della luce e ciò che si trova davanti è una magnifica sorpresa.

Foto: https://www.decorationlove.com/40-fabric-christmas-tree-decorations-ideas

Ai piedi dell’albero patchwork cucito con pezzi di stoffa, tra i quali ne riconosce immediatamente alcuni, c’è una lettera scritta con calligrafia molto curata

Cara signora Rosa,
vorremmo ringraziarla per averci permesso di passare il Natale in una casa vera e per questo motivo lei merita un regalo speciale.
Nostra madre ci preparava sempre un albero fatto con oggetti che raccoglieva ogni volta che le veniva una idea.
Nell’ultimo anno aveva trovato alcune stoffe verdi che avrebbe voluto cucire, ma non ha potuto.
Noi stavamo provando a continuare finché tutto è andato distrutto nell’incendio.
All’inizio pensavamo che non avremmo mai più festeggiato ma poi abbiamo capito che mamma sarebbe stata triste.
Non ci siamo dimenticati ciò che ci ha insegnato.
Questo albero è fatto con quello che abbiamo trovato, non è tutto verde e ci perdoni anche se abbiamo tolto dei pezzi dai suoi vestiti, li abbiamo presi solo dopo aver deciso di regalarlo a lei signora Rosa.
Speriamo che le ricordi momenti belli.
Buon Natale
Laura Carlotta e papà

P.S.:
Xeroderma pigmentoso, si chiama così la patologia di mia figlia, per questo motivo non deve esporsi ai raggi del sole.
So che non ha chiesto spiegazioni, ma è giusto che lo sappia.
Alfredo Mori

* * *

E a questo punto dovrei scrivere una lettera anche io per chi ancora non mi conosce, semplicemente: mi chiamo Claudia e sono un casino ambulante.
Non ho nessun curriculum utile perché ho sempre svolto un lavoro completamente diverso, ma AMO leggere e AMO scrivere, fin dai tempi dei diari della Holly Hobby. Poi pian piano le pagine hanno preso il volo, letteralmente, e sono diventate lettere che ho spedito davvero in tutte il mondo e in tutte le lingue che ho sempre cercato di imparare. Finchè le parole hanno iniziato a viaggiare via mail e su files di ogni tipo.
Se non fosse stato per mio marito non avrei mai avuto il coraggio di provare a scrivere qualcosa che non fosse solo per me.
L’idea del nome per il blog è venuta proprio mentre scherzavo con lui: io sono una ansiosa cronica senza speranza, ecco perché Keep Calm, e il caffè è il momento di relax così come di carica, di distensione ma anche di socializzazione, che tutti più o meno possiamo rubare nell’arco della giornata.
Dunque se vorrai prenderti qualche caffè qui considerati benvenuta/o!!
L’idea è di parlare di qualsiasi cosa: libri, musica, cinema, moda, ambiente … sentiti pure libera/o di proporre! Il caffè è sempre pronto!
GRAZIE.

Del “libro” non dico nemmeno perché libro per me è una parola troppo grossa … ma se qualcuno avesse il coraggio di addentarsi in una mente contorta … ci sarebbe La “mia” formula di Erone.

Domani scopriremo cosa ci regalerà Alice Jane Raynor.

E questo è l’elenco dei link di tutti i partecipanti.

Multidimensional Art 

Il blog di Tony 

Centoquarantadue 

Paola Pioletti 

Elena e Laura: due sorelle e una stanza di libri 

Inchiostronoir 

Tuttolandia 

Alice Jane Raynor 

Pensieri alla finestra 

LeggimiScrivimi 

Lividi e musica: la buona musica fa male 

La nuova corte dei miracoli 

Dove una poesia può arrivare 

NEA: Nuova Ecologia Artistica 

Il mondo di Shioren 

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