PM 2.5

PM 2.5

 

 

PM deriva da Particulate Matter: e consiste nel particolato aerodisperso, più precisamente, secondo la definizione del Ministero dell’Ambiente rappresenta l’insieme delle particelle atmosferiche solide e liquide sospese in aria ambiente. Il termine PM2.5 identifica le particelle di diametro inferiore o uguale a 2,5 µm … da qui in avanti però mi dissocio dalla descrizione: queste particelle vengono inglobate ai valori PM10 con troppa facilità, soprattutto nei rapporti di rilevazione, quando invece la differenza è sostanziale.
Perché?
Cito sempre testualmente dal progetto Essia cioè Effetti Sulla Salute dell’Inquinamento Atmosferico: in particolare, le particelle più piccole riescono a penetrare più a fondo nell’apparato respiratorio. Quindi, è importante capire quali e quante particelle sono in grado di penetrare nel corpo umano, a che profondità riescono ad arrivare e che tipo di sostanze possono trasportare. Ad esempio, la tossicità del particolato, e quindi la sua capacità di generare danni alla salute, può essere amplificata dalla capacità di assorbire sostanze gassose come gli IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici) e metalli pesanti, alcuni dei quali sono potenti agenti cancerogeni.
Il rilievo consistente dell’inquinamento ambientale in relazione all’insorgenza di tumori è anche oggetto della lettera aperta pubblicata da Isde l’aumento di incidenza tumorale e di malattie croniche degenerative che si manifestano nelle aree più inquinate ed in età sempre più precoce interessando bambini, adolescenti e giovani adulti è l’aspetto più eclatante del legame fra ambiente e salute.
Io dissento dalla scelta dell’aggettivo: trovo questo aspetto piuttosto terrificante che eclatante.
Anche l’OMS  dichiara che nell’Unione Europea il solo particolato più fine causa una perdita di aspettativa di vita di circa 8,6 mesi.
Alla luce di tutto questo, verrebbe naturale pensare che data l’elevata pericolosità, venga applicato uno stretto monitoraggio sulle emissioni di questo particolato fine.
Purtroppo invece in moltissimi casi non viene nemmeno distinto dal PM10 e risulta molto fumoso, perdona il gioco di parole, rapportare il dato del rilievo che ha un indice giornaliero che oscilla tra 9 e 8 mentre sto scrivendo, quando il termine di raffronto è secondo Ispra  un limite annuale di 25 µm, tra l’altro con un riferimento al 2010: è complicato persino reperire informazioni aggiornate, mi domando come mai.
Personalmente ritengo questo argomento della massima importanza e ho a cuore la Lomellina: terra martoriata tra fanghi e termovalorizzatori, dove la vivibilità è compromessa.
In Italia i termovalorizzatori sono 51, di cui 29 soltanto nel nord Italia ce lo comunica la Protezione Civile  specificando che i fumi generati vengono trattati e depurati.
Tra l’altro, i risultati di uno studio Inemar  2017 indicano come principale responsabile dell’emissione di PM2.5 in Lombardia la combustione non industriale.
In cosa consiste in pratica? Secondo la classificazione  “commercio, residenziale, agricoltura.”
Per usare un eufemismo: “ci scaldiamo troppo?”
Parrebbe proprio così: infatti le concentrazioni sono significativamente più alte nei mesi invernali come dimostrato visibilmente nei grafici della EEA European Environment Agency.
Dunque i termovalorizzatori sono innocenti?
No, nonostante negli anni gli inceneritori si siano rivestiti di questa “valorizzazione” con sistemi di controllo e depurazione che hanno sicuramente ridotto la percentuale di incidenza, una quantità di inquinanti viene comunque scaricata in atmosfera. Le famigerate nano-particelle sono tanto capaci di entrare facilmente nel nostro organismo e di raggiungere sangue, tessuti e organi, quanto di sfuggire in parte ai sistemi di filtraggio o di smaltimento, qui trovi una analisi  in proposito.
Se poi riesci a risolvere il calcolo delle soglie giornaliere/annuali, ti meriti un caffè!

 

 

 

 

LA RANA È BOLLITA?

LA RANA È BOLLITA?

In questi giorni in cui siamo sottoposti a centrifughe di informazioni sparate a velocità accelerata, ci si ritrova a pensare anche a quanti diritti sanciti dalla nostra Costituzione sono stati sospesi dai decreti con quella sigla finora inusuale: DPCM.
La nostra Costituzione in effetti non prevede la dichiarazione dello stato di emergenza, e rimanda semplicemente al Codice della Protezione Civile, a tale Codice infatti si fa riferimento nella ormai famigerata pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 31 gennaio.
I nostri padri costituenti non ritennero opportuno inserire clausole di emergenza ritenendo che l’eventuale conferimento di pieni poteri ad un organo specifico, oppure la legittimazione della limitazione, o addirittura della sospensione dei diritti dei cittadini, avrebbero potuto rappresentare un pericolo nel caso di possibili rischi di dittatura.
Emergenza è per definizione una circostanza imprevista, un concetto dunque che di fatto rimanda ad un momento critico, ad una particolare condizione che richiede intervento immediato.
Indubbiamente quella che stiamo vivendo è una serie di eventi del tutto incomparabili e sarebbe opportuno cercare di mantenersi focalizzati sui punti fermi: cioè i dati certi.
Costa solo qualche secondo andare a leggere dalle fonti ufficiali.
Ciò che è reale e corretto aiuta chiunque a fare le proprie riflessioni al riparo della grancassa di alcuni media che alimentano panico e conseguenti comportamenti fuori luogo e, dal verso opposto, contribuisce a rispondere alla domanda del titolo.
La rana bollita è il famigerato principio metaforico di Noam Chomsky secondo il quale se
Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.
Questo pentolone ha una ulteriore caratteristica inquietante: le sue dimensioni. Coinvolge tutto il mondo.
“Essere bolliti” ha però anche un altro senso gergale, almeno a quello possiamo senza dubbio porre rimedio.

 

 

Archivi

Pin It on Pinterest