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In tutta la mia smisurata ignoranza io non conoscevo la Baronessa Dadaista finché non me ne ha parlato BurnazziFeltrinaArchitetti in merito a quanto avevo scritto sull’anello tatuato di Chester Bennington, facendomi notare che la sua fede nuziale, invece, era un bullone raccolto dalla strada.

Arte “da indossare”, arte corporale al punto da rendere tridimensionale il concetto di trasformazione, che si concretizza anche nella continua e costante evoluzione di Elsa Hildegard Plotz, poi Elsa Endell e infine Elsa von Freytag-Loringhoven.

Impossibile concepire di vederla con una banale tazzina.
Lei stravolge l’utilizzo degli oggetti più comuni, adornandosene.
Dunque i cucchiai arricchiscono un copricapo tanto quanto una gabbia per uccellini il collo.

Per tentare di descriverla vorrei bypassare la famosa frase che ricorre nei vari riferimenti che la riguardano, pronunciata da colui che si è appropriato dell’idea per l’opera Fontana.

Citerei piuttosto le parole di Djuna Barnes, secondo l’analisi di Michelle Feda

nel villaggio si può persino vedere la baronessa saltare con leggerezza da uno di quei nuovi taxi bianchi con settanta cavigliere nere e viola che tintinnano sui suoi piedi secolari, un francobollo straniero – annullato – appollaiato sulla sua guancia; un’ala di porpora e oro catturata maliziosamente con i fili di un cavo usato un tempo per attraccare le importazioni dal lontano Catai; e cogliere il profumo sottile e polveroso che lascia dietro di sé – un antico taccuino umano su cui sono state scritte tutte le follie di una generazione passata.

Parole che ben illustrano la corporalità.
Parole che offrono aspetti a tutto tondo: colori, suoni, profumi.
Le follie di una generazione passata” in aperta contrapposizione con il presente di una artista che è già futuro, anche per il Dadaismo.

Ma come spesso accade per i personaggi così controversi e fuori dagli schemi, la vita è una corsa su montagne russe ancora più ripide del consueto. Tanto per la salita, che arriva a toccare il dorato mondo, quanto per la repentina discesa, che vede i momenti difficili rincorrersi inesorabilmente.

Il villaggio è dove nasce l’amicizia tra Elsa e Djuna: il Greenwich Village. Una amicizia che non si interrompe mai nemmeno di fronte alle avversità che cancellano la ascesa: è proprio Djuna che aiuta in vari modi Elsa fino alla sua morte a Parigi, “il suo ultimo scherzo”.

Ma rimane il loro intenso scambio di lettere.

 

 

 

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