CAMBIARE L’ACQUA AI FIORI Valérie Perrin

CAMBIARE L’ACQUA AI FIORI Valérie Perrin

Cambiare l’acqua ai fiori, Valérie Perrin.

Cambiare l’acqua ai fiori, quasi un promemoria.
Che si è trasformato in un passa parola esteso al punto da conquistare la classifica a colpi di consiglio da lettrice a lettrice (o lettore che dir si voglia). Infatti io lo ho letto grazie a Monica.

Solo in seguito ho trovato l’elenco di premi vinti: Prix Maison de la presse, il Prix Jules-Renard e il Prix des lecteurs du Livre de poche.

L’ho aperto al buio, senza sapere quali sarebbero stati i fiori da curare, e ho scoperto che la cura era per me stessa.

L’immediatezza con la quale ho pensato quanto potrebbe essermi congeniale il lavoro che svolge la voce narrante è stata semplice come quando finalmente ci si accorge di qualcosa che era sempre stato sotto i nostri occhi ma che finora non avevamo mai guardato veramente.

Indossare un’idea di serenità così calzante però non può essere un passaggio scontato, tanto quanto non è detto che il punto di partenza sia paragonabile a leggerezza.

D’altronde i fiori sono simboli di delicatezza per antonomasia.
I fiori sono bellezza, ma anche fragilità.
Ai fiori occorre la luce.
Ai fiori occorre il calore.

Ho amato l’ossatura di questa storia, e, forse per questo, arrivando alle ramificazioni ho provato un forte senso di fastidio. Ma ciò non ha fatto altro che renderla ancor di più una metafora perfetta.

Se ci riflettiamo, cambiare l’acqua è un’azione di rinnovamento che mira però a perpetuare lo stesso fine, e in effetti in questo libro i mutamenti hanno la caratteristica di riportare all’origine come nel più classico dei circoli chiusi, come le stagioni, che compiono il loro ciclo.

Ma i fiori, possono nascere anche tra il cemento.

IN THE END

IN THE END

Ho già parlato di In the end dunque non è un mistero quanto mi piaccia questa canzone.

Ma come per Zombie, avendo anche in questo caso contribuito, voglio celebrare il miliardo di visualizzazioni su You Tube, anche se per i Linkin Park è la seconda volta, dopo Numb.

A dare l’annuncio, oltre ai canali ufficiali, è stato un tweet di Mike Shinoda, e il pensiero va immediatamente a Chester Bennington.

Come per Dolores O’Riordan però, io voglio parlare della vita: e ti consiglio di guardare questo video nel quale Chester prepara il caffé.

Per noi qui in Italia, questo modo di filtrare con acqua già calda risulta parecchio strano, il nostro legame con la moka è viscerale, ma spaziando nei miei viaggi virtuali sul caffé ho avuto modo di vedere parecchie volte questo sistema e mi ci sono un pochino abituata.

Riguardo all’esecuzione di Chester adoro la sua visione della tazza, come se possa non avere una capienza laughing

Nel video si vede anche molto bene il suo tatuaggio sul dito: lui e Samantha Marie Olit, la prima moglie, non avevano soldi per le fedi, aneddoto che mi ha colpita: lo trovo un po’ il simbolo di come la vita riservi evoluzioni inaspettate, o di quanto inseguire sogni non sia vano.

Per tornare al video di In the end, che aveva già vinto agli MTV nel 2002 come Best rock video, tu hai mai provato a decodificare le iscrizioni sul portale dal quale esce Chester?

Oltre al concetto di tempo di cui ho già scritto, ciò che mi ha colpita fin dal primo ascolto è stata l’esplosione collerica del ritornello: Chester che si sporge con una forza dirompente, per quanto mi riguarda è coinvolgente al punto da non riuscire a non cantare.

Mike Shinoda ha dichiarato: “la canzone non sa se vuole essere ottimista o pessimista. Ed è proprio questo che mi piace.”

Trovo che sia esattamente questa la chiave: racchiudere messaggi ed emozioni che possono adattarsi a diverse visioni.

L’erba che spunta dove Mike pesta con i suoi scarponi è l’immagine che preferisco, Chester Bennington rispondendo ad un’intervista ha detto:“l’ultima immagine del video è quella dell’erba che cresce: c’è ancora il tempo per cambiare. Bisogna vedere la catastrofe all’orizzonte per decidersi ad agire. Volevamo fare riflettere, poi ognuno tira le sue conclusioni.

Le tue quali sono?

 

 

 

TIME IS A VALUABLE THING

TIME IS A VALUABLE THING

 

Times is a valuable thing …

Proseguo ringraziando per i commenti e questa volta approfitto per rispondere da qui a Duncan Weick: questo blog è un regalo di mio marito e la struttura è stata sviluppata da Zeus.
Io provo a scrivere e ad usare le immagini che spero possano avere un senso.
A questo proposito vorrei cogliere l’occasione per parlare di ispirazione: c’è qualcosa in particolare che facilita la scrittura, o in generale la creazione di qualcosa che ti appassiona?
Che cosa ti suscita uno stato d’animo grazie al quale riesci a sentirti nel giusto mood, a sentirti in pace con te stessa/o, se non con il mondo?
La mia ispirazione deriva quasi sempre dalla musica.
Rock, per l’esattezza.
Play it fuckin’ loud!” come ci ha insegnato Bob Dylan.
Energia. Per me, assolutamente energia. Ma è impossibile dare una definizione, imbrigliare in un concetto, circoscrivere in una descrizione, perché fondamentalmente è assenza di barriere.
Una idea che stride molto con questo particolare momento nel quale ad essere “racchiusi” siamo noi, in effetti.
Per questo pensavo alla frase “il tempo è una cosa preziosa”: il tempo non ci viene precluso, anzi, ora potremmo dire di averne una percezione dilatata, a tratti forse incombente.
Watch it fly by as the pendulum swingsprosegue Mike Shinoda quando canta in un crescendo che io percepisco come un fantastico invito ad urlare.
La magia di alcune canzoni è proprio l’eclettismo, e il potere di adattarsi poliedricamente a molteplici visioni e situazioni, ed anche in questo caso ovviamente le interpretazioni sono diverse.
Personalmente quella che preferisco è attinente alla consapevolezza del tempo. Concetto a sua volta non del tutto universale nel senso che la sua percezione è variabile secondo il punto di vista, ma più in generale, considero il simbolo del pendolo legato alla società più moderna.
Ora quel pendolo sta particolarmente sovrastando tutti noi che siamo stoppati, e che dovremmo fare serie e doverose riflessioni, io credo.
Ma senza arrivare a discorsi sulla atomizzazione, rimarrei nella semplicità della nostra tazzina: cambierà la tua concezione di tempo da ora in poi?
O … in the end, it doesn’t even matter?

CAFFÈ RADIOATTIVO

CAFFÈ RADIOATTIVO

Caffè radioattivo.

Che cos’hanno in comune gli incidenti di Chernobyl e Fukushima? Innanzitutto un numero: sono entrambi di livello 7.
L’incidente di Chernobyl si è verificato nel 1986 e secondo il rapporto di Greenpeace trent’anni dopo la catastrofe oltre diecimila chilometri quadrati sono inutilizzabili per l’attività economica, più di centocinquantamila chilometri quadrati sono le aree contaminate della Bielorussia, Russia e Ucraina e cinque milioni di persone vivono in zone ufficialmente considerate contaminate. A causa degli elevati livelli di contaminazione da plutonio nel raggio di 10 chilometri dalla centrale, l’area non potrà essere ripopolata per i prossimi diecimila anni.
La recente serie HBO ci ha dato la possibilità di rivivere attraverso le immagini, quei giorni che hanno cambiato le abitudini di tutti.
A migliaia di chilometri di distanza, abbiamo evitato cibi come verdure e latte, in aggiunta a ulteriori misure particolari per i bambini.
Per quanto riguarda Fukushima, sempre secondo il rapporto di Greenpeace gli interventi di decontaminazione del governo sono stati frammentari, inadeguati e vi è un serio rischio di ri-contaminazione delle aree già decontaminate. Nonostante il massiccio sforzo e le spese sostenute, è probabile che le attività di decontaminazione diventino un processo senza fine. Inoltre, gli sforzi di decontaminazione senza potersi ‘sbarazzare’ della contaminazione radioattiva, cioè semplicemente spostandola in altri luoghi come i siti di stoccaggio temporaneo, continuano a rappresentare un pericolo per le comunità locali e per l’ambiente.
Il rischio è che il Giappone decida di scaricare l’acqua contaminata nell’oceano Pacifico.
Si tratta dell’acqua che dal giorno dell’incidente cioè dall’11 marzo 2011 è stato necessario pompare sul reattore per mantenere bassa la temperatura del nocciolo: più di 220 metri cubi al giorno. Riesci ad immaginare quanto grande può essere la quantità?
Secondo le previsioni della stessa Tepco il limite di stoccaggio sarà raggiunto nel 2022.
È un problema che riguarda il monto intero anche se per ora solo la Corea del Sud sembra preoccuparsene.
Senza contare il rischio perenne che rappresentano questo migliaio di cisterne in una zona sismica.
Nel frattempo alcuni giornali stanno già riportando la notizia che il trizio è “relativamente tossico” e minimizzando l’impatto dello smaltimento in mare dato che avrebbe vita breve, certo, un periodo di dimezzamento di poco più di 12 anni non è nulla in confronto ai diecimila …
Ricordiamo che il trizio veniva impiegato per la fluorescenza negli orologi e che l’utilizzo è stato interrotto.
Ma la domanda è semplice: se davvero così innocuo, perché stoccarlo per nove anni continuando a costruire cisterne?
Direi che quando parliamo delle centrali nucleari ormai anche la frase di Einstein non basta più, non siamo nemmeno come topi che costruiscono una trappola per sé stessi, siamo andati oltre.
La leggerezza con la quale viene consentita la costruzione di queste centrali ben sapendo che in caso di incidenti non esiste nessun modo di porre riparo, è rivoltante tanto quanto l’appellarsi poi alle cause di forza maggiore nascondendosi dietro al fatto che gli effetti reali sulla salute non compaiono nell’immediato.
La gente si ammalerà e morirà, ma qualcuno ci avrà guadagnato. Come accade sempre.

Archivi

Pin It on Pinterest