IL SOGNO DELLA MACCHINA DA CUCIRE Bianca Pitzorno Romanzo Bompiani

IL SOGNO DELLA MACCHINA DA CUCIRE Bianca Pitzorno Romanzo Bompiani

 

Se penso alla macchina da cucire, immediatamente mi ritorna in mente quella di mia nonna, e mi rivedo bambina ad osservare i gesti, la rotellona che non smettevo di toccare, il pedale, la bobina.

Lei faceva sembrare tutto così facile, poi, con il tempo, ho sperimentato che non lo è affatto, come tutta una serie di altre cose del resto.

Anche la protagonista del libro, il cui nome non viene mai citato, forse per lasciare a chi legge la facoltà di identificarsi ad un livello più profondo, da bambina guarda cucire la nonna che è tutta la sua famiglia, e che insieme al cucito le insegna la vita.

E proprio gli insegnamenti della nonna, così come il forte legame tra loro, la salveranno in varie situazioni.

L’unico luogo che viene citato nel libro è Parigi, tutte le altre località sono indicate con la sola iniziale. Paradossalmente, invece di perdere i riferimenti io ho trovato un preciso orientamento, come se Parigi rappresentasse un unico punto fermo mentre “tutto il mondo è paese”, proprio con l’accezione un po’ negativa del modo di dire proverbiale.

Un mondo nel quale anche i sogni diventano un lusso che non ci si può permettere.

E così la macchina da cucire diventa più preziosa di un gioiello, trasfigurandosi nel mezzo per migliorare la propria condizione in maniera più agevole, più intensa, ma sempre con impegno, con costanza, con le proprie forze, senza sconti, lavorando.

Ancora una volta ringrazio Monica per questa lettura: un ricamo di figure femminili che ho ammirato.

Storie di Donne di quelle che ci piacciono, di quelle che si distinguono, di quelle che lottano per non essere principesse.
Donne che sopravvivono.
Donne che insegnano.

E le figure negative, le donne spietate, consumandosi nella loro cattiveria non fanno altro che far brillare maggiormente chi merita.

 

LA RANA È BOLLITA?

LA RANA È BOLLITA?

In questi giorni in cui siamo sottoposti a centrifughe di informazioni sparate a velocità accelerata, ci si ritrova a pensare anche a quanti diritti sanciti dalla nostra Costituzione sono stati sospesi dai decreti con quella sigla finora inusuale: DPCM.
La nostra Costituzione in effetti non prevede la dichiarazione dello stato di emergenza, e rimanda semplicemente al Codice della Protezione Civile, a tale Codice infatti si fa riferimento nella ormai famigerata pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 31 gennaio.
I nostri padri costituenti non ritennero opportuno inserire clausole di emergenza ritenendo che l’eventuale conferimento di pieni poteri ad un organo specifico, oppure la legittimazione della limitazione, o addirittura della sospensione dei diritti dei cittadini, avrebbero potuto rappresentare un pericolo nel caso di possibili rischi di dittatura.
Emergenza è per definizione una circostanza imprevista, un concetto dunque che di fatto rimanda ad un momento critico, ad una particolare condizione che richiede intervento immediato.
Indubbiamente quella che stiamo vivendo è una serie di eventi del tutto incomparabili e sarebbe opportuno cercare di mantenersi focalizzati sui punti fermi: cioè i dati certi.
Costa solo qualche secondo andare a leggere dalle fonti ufficiali.
Ciò che è reale e corretto aiuta chiunque a fare le proprie riflessioni al riparo della grancassa di alcuni media che alimentano panico e conseguenti comportamenti fuori luogo e, dal verso opposto, contribuisce a rispondere alla domanda del titolo.
La rana bollita è il famigerato principio metaforico di Noam Chomsky secondo il quale se
Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.
Questo pentolone ha una ulteriore caratteristica inquietante: le sue dimensioni. Coinvolge tutto il mondo.
“Essere bolliti” ha però anche un altro senso gergale, almeno a quello possiamo senza dubbio porre rimedio.

 

 

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