NON CHIAMATELE PATATINE

NON CHIAMATELE PATATINE

Non chiamatele patatine perché non contengono patate, e questa non è nemmeno una novità: il termine patatine è entrato a far parte del nostro linguaggio per sottintendere fettina di patata, generalmente fritta: un pacchetto di patatine come indicato alla voce 2 del Garzanti.

L’Accademia dei Georgofili ne attribuisce l’invenzione a George Speck, conosciuto anche come George Crum in base alla leggenda secondo la quale un giorno il facoltoso finanziere Cornelius Vanderbilt manda indietro ben tre volte un piatto di patatine fritte insoddisfatto della cottura. Allora Crum taglia le patate in fette sottilissime e le frigge fino a renderle talmente croccanti da non poterle mangiare con la forchetta e le condisce con molto sale.

In seguito George Crum apre un ristorante tutto suo e inizia a commercializzare le patatine fritte che, nel 1920 saranno poi confezionate in buste.

Da bambini le abbiamo conosciute nei classici sacchetti Pai e poi in gergo abbiamo continuato a chiamare patatine altri tipi di snack in busta sebbene fossero composti da mais, formaggio o altri ingredienti.

Allo stesso modo, quando eravamo bambini, dire farina corrispondeva ad indicare il prodotto della macinazione del grano

Ormai invece si parla maggiormente di pseudo cereali e siamo arrivati alle “nuove” farine proteiche, se così possiamo definirle.

Si trovano vari siti che in alternativa alle farine ad alto contenuto proteico come ad esempio la farina di legumi, commercializzano farine ottenute con larve essiccate.

Non si tratta di leggende metropolitane, e nemmeno di generalizzazione, è bene specificarlo, ma di ingredienti che vengono dichiarati specificatamente nelle etichettature.

Con una di queste farine, sono state prodotte delle “patatine” che però forse andrebbero chiamate in un altro modo, non chiamatele patatine.

Quale potrebbe essere un nome adatto secondo te?

Tu pensi che mangerai qualche tipo di alimento con queste farine?

La sensazione di fastidio che personalmente io avverto è solo una questione psicologica?

Secondo una indagine di Coldiretti di maggio 2021 a seguito dell’approvazione da parte dell’Europa alla commercializzazione di alimenti a base di insetti, il 54% degli Italiani considera gli insetti estranei alla propria cultura alimentare.

Tu sei favorevole?
Per te si tratta semplicemente di una proteina come un’altra?

 

FILOSOFEGGIANDO IN ALLEGREZZA

FILOSOFEGGIANDO IN ALLEGREZZA

Filosofeggiando in allegrezza è il blog che ci regala una nuova tappa del Viaggio di tazzina in tazzina, e ora di serenità gioiosa ne ho parecchia anche io per queste immagini!

Come avrai capito, la foto sotto al titolo viene dalla Spagna: Galizia, e per la precisione viene dal Festival del libro di Vigo

As Feiras do Libro de Galicia si svolgono ogni anno in vari paesi e città della Galizia, nei mesi primaverili ed estivi, con bancarelle gestite da librai, e un ampio programma di attività parallele, come conferenze, incontri con autori, mostre, presentazioni di libri, ecc., che fanno di questi eventi un incontro di grande interesse culturale.

Lo scrittore che più ha universalizzato Vigo è stato Jules Verne,  in un passaggio di 20.000 leghe sotto i mari.

Tu lo hai letto?
Pensa che io ho avuto il coraggio di perdermelo finché non lo ha portato a casa mio figlio dalla biblioteca della scuola elementare, ma c’è sempre tempo per rimediare, giusto?

Nel romanzo di Verne, l’estuario di Vigo nasconde ricchissimi tesori provenienti dalla battaglia della baia o battaglia di Rande.

“Allora, signor Aronnax (…), siamo in quella stessa baia di Vigo. Sta a voi svelare i suoi misteri”.

La battaglia ebbe luogo il 23 ottobre 1702 tra le coalizioni anglo-olandese e ispano-francese, durante la guerra di successione spagnola. I galeoni spagnoli giunsero all’estuario di Vigo carichi del più grande tesoro che avesse mai attraversato l’Atlantico: oro e argento, gioielli…


“La sabbia era disseminata di quei tesori. Poi, carichi di quel prezioso bottino, quegli uomini tornavano al Nautilus, depositavano i loro fardelli e riprendevano quella pesca inesauribile di oro e argento”.


Da allora centinaia di immersioni sono state effettuate nelle acque dell’estuario di Vigo alla ricerca di tesori. Senza andare oltre, nel 2011 sono stati individuati e identificati sei relitti legati alla battaglia.


Non trovi dunque che la frase scelta per presentare il Festival:

LE MIGLIORI STORIE INIZIANO CON UN BUON CAFFÈ

sia semplicemente perfetta?

Se vuoi proseguire nella scoperta di aneddoti interessanti sulla Galizia non ti perdere il racconto del viaggio qui su Filosfeggiando in Allegrezza

A proposito di cose preziose poi, ecco due caffè da Monforte de Lemos!

Dunque dopo Verne possiamo citare anche El ingenioso caballero don Quijote de la Mancha di Miguel Cervantes, proprio con riferimento al Conte di Lemos.

Ma di Monforte di Lemos ci racconta dettagliatamente Filosfeggiando in allegrezza nella seconda parte del suo reportage.

E tu?
Dove hai bevuto il caffè ultimamente?

E TRIESTE?

E TRIESTE?

 

Trieste è la capitale non ufficiale del caffè.

Lo leggo su un sito estero però: BBC Travel

Girovagando in cerca di conferme, al di là della storia che riporta all’Impero Austroungarico, parrebbe che illy, più che Trieste, abbia incluso nel 2015 la qualifica di capitale nella presentazione in occasione dell’Expo

Sempre nel 2015, presso il Salone degli Specchi è stata allestita una mostra virtuale collegata ad Expo di cui illy era partner ufficiale, in collaborazione con la Regione Friuli Venezia Giulia e il Comune e la Camera di Commercio di Trieste, che riporta proprio la dicitura di capitale.

In una intervista a Trieste Prima Franco Bazzarra altro imprenditore della torrefazione dichiara: spesso mi chiedono se Trieste possa davvero essere considerata la capitale italiana del caffè espresso. Rispondo sempre che lo è, senza remore.

Con buona pace di Napoli? Non direi proprio.

Il Ministero Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha presentato le candidature a patrimonio culturale immateriale dell’umanità del Rito del caffè espresso italiano tradizionale, che è anche vera e propria arte, e in subordine quella della Cultura del caffè napoletano, realtà tra rito e socialità, ed la approvazione all’unanimità è notizia fresca fresca.

Il caffè napoletano è in subordine per una questione di tempistica relativa alla presentazione delle proposte.

In tutto ciò direi però che dopo le tre c di Napoli, il caffè per i Milanesi, e i dettagli su Dublino, ora è proprio il caso di scoprire che cosa rappresenta il caffè per i triestini.

Una prima risposta forse la fornisce il sito del comune di Trieste che riporta: “Il triestino ‘sente’ il caffè come ‘casa propria’”

Tu hai qualche esperienza più diretta?

LUPO BIANCO O LUPO NERO?

LUPO BIANCO O LUPO NERO?

 

Nel periodo in cui stiamo vivendo, tra i numerosi aspetti che hanno preso il posto di quella che era la nostra quotidianità prima, si osservano anche forme di comportamento non esattamente sociali, per non dire per nulla amichevoli.
In effetti l’idea che il vero io di alcune persone affiori soltanto in casi di emergenza o di forzatura, è latente da sempre, ne entriamo in contatto attraverso detti oppure leggende, proprio come quella del lupo bianco che è gioia, amore della pace, speranza di serenità, umiltà, benessere, benevolenza, empatia, generosità, verità, compassione e fede; o del lupo nero che è rabbia, invidia, gelosia, dispiacere, rimpianto, autocommiserazione, avidità, arroganza, colpa, risentimento, inferiorità, bugie, falso orgoglio, superiorità ed ego.
L’origine ufficiale si perde nel tempo: la fonte è stata tramandata oralmente, ma ho trovato questa Tale of the two wolves (Racconto dei due lupi).
Ogni individuo ha dentro di sé entrambi i lupi e dei due vincerà colui che si deciderà di sfamare.
Dunque il libero arbitrio.
Concetto tanto ampio quanto dibattuto.
Tra le innumerevoli discussioni che si perdono nella storia, tra natura e cultura, tra filosofia e scienza, riemerge un esempio: l’esperimento di Stanford.
Nel 1971 un giovane professore di psicologia dell’università di Stanford: Philip Zimbardo ricreò una prigione nel seminterrato dell’ateneo e selezionò 24 studenti tra 70 candidati che si erano offerti, facendo vari test che ne accertassero ad esempio l’assenza di malattie, di dipendenze, e di precedenti penali. Questi studenti vennero suddivisi equamente e in maniera casuale in due gruppi: carcerati e guardie.
Lo scopo era dimostrare l’impatto delle variabili situazionali sul comportamento umano.
L’effetto Lucifero, questa è la definizione data al risultato dell’esperimento, interrotto dopo soli 6 dei 14 giorni previsti, a causa di episodi vessatori e violenti da parte delle guardie nei confronti dei carcerati.
Questo effetto è stato indotto anche dalla de-individualizzazione: le guardie nel ruolo istituzionale, dietro divisa e occhiali a specchio, che conferivano una sorta di anonimato individuale appunto, hanno mostrato di lasciar emergere il loro lato peggiore.
Lo stesso ZImbardo ha dichiarato di essersi fatto prendere dal ruolo di direttore del carcere e proprio l’accusa di aver indotto e pilotato alcune dinamiche, ha portato copiose critiche e tesi a confutare la validità dell’esperimento.
Dunque ora, assistendo a svariate tipologie di sfoghi non solo virtuali, forse possiamo considerare il fatto che alcune persone si sentano “prigioniere” e altre assurgano il ruolo di “guardie”.
Quello che possiamo fare è cercare di rimanere noi stessi e di non sfamare il lupo cattivo … e nemmeno l’effetto Lucifero.

 

 

 

TV YIN O TV YANG?

TV YIN O TV YANG?

Mentre in Italia sembra di essere tornati ai tempi di Guelfi e Ghibellini, criterio secondo il quale dovremmo forzatamente separarci in due fazioni opposte: se non stai da una parte, deve significare che stai dall’altra, (e io mi domando PERCHÈ), anche i televisori a quanto pare iniziano a suddividersi i ruoli … sì, lo so, sto parlando di apparecchi “datati” per la durata media corrente, anche se in realtà non è che siano così vecchi.
Dunque qui ad esempio in una TV sono ancora visibili i canali Mediaset ma non più La7 ed altri, e viceversa.
Dal primo gennaio 2020 i canali DTT (digitale terrestre) iniziano ad abbandonare l’attuale standard di codifica MPEG-2 per passare al MPEG-4 che finora era utilizzato soltanto dai canali HD cioè in alta definizione.
Ma questa è soltanto la prima fase: la transizione definitiva si concluderà entro giugno 2022 e prevede il passaggio a nuove tecnologie di trasmissione come HEVC “High Efficiency Video Coding” che offre una migliore compressione dati, o DVB-T2 “Digital Video Broadcasting Terrestrial Second Generation” ovvero l’estensione adatta a portare il segnale HDTV sul digitale terrestre.
E perché tutto ciò?
Perché le frequenze utilizzate al momento devono essere lasciate libere per la rete 5G, e quindi per la comunicazione mobile, assicurando una alta velocità di connessione per i telefoni cellulari.
E i televisori diversamente abili? Avranno bisogno di un decoder. Di nuovo.
Però a questo punto la domanda è: la televisione offre ancora un servizio utile e adeguato?
I programmi che non si schierano né con i Guelfi né con i Ghibellini per intenderci, i programmi seri, i programmi che fanno cultura o anche intrattenimento che non sia la famosa copia di mille riassunti di Samuele Bersani, si possono forse contare sulle dita di una mano.
Dopo che siamo già costretti a pagare una tassa di possesso continuando a chiamarla canone, incastrata peraltro nelle fatture per l’energia elettrica, vale davvero la pena spendere altri soldi?
Per come veniamo usati per propagandare, e non parlo solo della pubblicità, onestamente, non dovrebbero essere loro a pagare noi?

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