PIAZZA DUCALE COPERTA

PIAZZA DUCALE COPERTA

Ti ho già parlato della Piazza Ducale di Vigevano: abbiamo scoperto insieme le tracce di presenze ebraiche, partendo dal passato per arrivare al presente della versione smart city

La abbiamo vista nella come un salotto per bere il caffè ma anche come cornice per i cosplayers dei personaggi di Star Wars

Vorrei che non ti perdessi la versione Piazza Ducale “coperta.”

Suggestiva, vero?

Di impatto.

All’alba

e al tramonto di un giorno intero dedicato alla condivisione.

Queste stupende coperte colorate sono tutte formate da quattro quadrati lavorati a maglia o all’uncinetto uniti insieme da un filo rosso come simbolo di relazione e unione.

Per mesi tante donne si sono adoperate per preparare queste coperte con lana multicolore e tanta fantasia.

Chi da sola, come Betty durante la convalescenza, chi in gruppo, come la mamma di Carola durante gli incontri settimanali a base di chiacchiere, maglia e cose buone da mangiare.

E altre coperte sono arrivate un po’ da tutta Italia, rispondendo alla chiamata di Viva Vittoria

Viva Vittoria è un’opera relazionale condivisa dalle donne per le donne.

Creare la maglia viene inteso come metafora dello sviluppo di se stesse e veicola un messaggio di consapevolezza: siamo noi artefici della nostra esistenza.

Se siamo in grado di produrre il cambiamento in noi, il cambiamento può avvenire di riflesso anche nella società.

L’idea di portare queste coperte frutto di momenti di aggregazione è nata a Brescia nel 2015 e il ricavato della vendita viene destinato a scopi benefici.

A Vigevano, in Piazza Ducale in poche ore sono state adottate tremila coperte, la somma raccolta sarà devoluta all’associazione Kore al fianco delle donne vittime di violenza.

UN MONUMENTO DA RICORDARE

UN MONUMENTO DA RICORDARE

Un monumeto da ricordare ovvero un monumento che deve essere tenuto presente ogni giorno è la frase finale di quello che non potrei mai definire semplicemente “commento” che Nick di Matavitatau ha generosamente scritto in merito alla Repubblica di Weimar

Nel caso in cui tu non lo abbia letto, ti consiglio vivamente di non perderlo: lo trovi qui

Tra l’altro ha anche ridato fiducia a Massimo dato che io dal suo spunto avevo parecchio divagato laughing

Sono assolutamente d’accordo sul concetto di monumento come qualcosa che stia ad indicarci di non dimenticare ciò che è stato, dal momento che troppo spesso non teniamo conto dell’importanza degli insegnamenti che potremmo trarre da quanto è già accaduto.

Invece ricadiamo.

La vita, si direbbe, è fatta di recidive e anche la morte dev’essere una specie di recidiva.
Samuel Beckett

Certo che potremmo lavorare su come arrivare a questa “recidiva finale”… o no?

Eppure perseveriamo nel farci cogliere ingenuamente dalle derive che ci trascinano troppo facilmente nelle risacche dei riflussi storici, che somigliano piuttosto a reflussi, che il male rigurgita dopo essersi cibato impunemente.

Cito ancora: la Repubblica di Weimar rimane lì come monito gigantesco al “come è stato” e al “come è bene che non sia mai più:” studiarla è come vederci allo specchio, oggi che la democrazia è tanto in pericolo proprio per nuove carestie e nuovi razzismi.

Perché dunque non vogliamo guardarci allo specchio con onestà?

Se non altro almeno l’inconscio potrebbe registrare ciò che noi non vogliamo vedere, persino Profondo Rosso ce lo insegna.

 

Si può quindi dire che rifiutiamo consapevolmente di vedere oppure inconsciamente rifuggiamo l’evidenza davanti ai nostri occhi?

Ora divago di nuovo, lo so, ma rimbalzando da uno specchio all’altro mi sono imbattuta in una ricerca del professor Giovanni Battista Caputo dell’Università di Urbino, ribattezzata con il nome di Caputo effect, la conosci già?

Si basa sull’illusione visiva: il professore ha registrato le reazioni di un campione di cinquanta persone alle quali è stato richiesto di osservare la propria immagine riflessa nello specchio per dieci minuti consecutivi.

Lo specchio è stato posto all’interno di una stanza illuminata soltanto dalla luce di una lampada posizionata in modo che la sua luce rimanesse dietro al campo visivo dell’osservatore e che non potesse riflettersi.

I risultati hanno dimostrato visioni distorte e in particolare: la maggior parte ha testimoniato di aver visto distorsioni sul proprio viso.

Alcune persone hanno visto il volto di un genitore, in alcuni casi deceduto.

Altre volti sconosciuti, animali o addirittura esseri mostruosi.

Pensi che potremmo provarci anche noi?

Io più che altro ho preso in considerazione l’idea come metafora.

Secondo te che ruolo ha la lampada?

Come possiamo noi illuminarci meglio per vedere nello specchio?

DIARIO DI BORDO DALLA ZONA ROSSA LOCKDOWN GIORNO 1

DIARIO DI BORDO DALLA ZONA ROSSA LOCKDOWN GIORNO 1

La sensazione che si percepisce è forse paragonabile a quando ci si trova nell’ultimo cono di luce prima di entrare nel tunnel.

L’illuminazione all’interno è fastidiosa perché non si vedono luci ma abbagli a intermittenza.

La caratteristica principale sono infatti questi intervalli regolari, con interruzioni pressoché telegrafiche, al termine delle quali riprende la litania monocorde di qualsivoglia tipo di comunicazione o informazione della TV.

Non so tu, ma io ho iniziato a detestare alcune parole che vengono adottate come mantra.

E al posto degli arcobaleni ora sono rimasti solo colori che dividono.

Personalmente avverto il bisogno del mio rifugio: la musica e dunque direi che il brano perfetto per oggi è The Resistance dei Muse.

A partire dalla copertina, che per restare in tema di colori, li rappresenta in una visione psichedelica.
Non a caso è stata giudicata la migliore dell’anno 2009.

Per continuare con i molteplici significati racchiusi nelle parole, nei testi, nelle metafore, come ad esempio il fatto che The Resistance rappresenta un riferimento a 1984 di George Orwell, al quale Matthew Bellamy si è ispirato.

Il brano che cita direttamente l’Eurasia è un altro, ma in realtà The Resistance stessa rievoca moltissimo Winston e Julia costretti a nascondersi per non essere scoperti dal Partito.

Tornando a United States of Eurasia invece, per molti rappresenta un plagio, piuttosto che una citazione di Bohemian Rapsody, tu cosa ne pensi?
Sempre secondo i detrattori, che non gradiscono nemmeno la ghost track Collateral Damage con la sonata Notturno n. 9 di Chopin, le influenze che si sentono sono parecchie e riconducibili ad una sorta di pot pourri musicale.

Tu le hai notate al primo ascolto?
Che impressioni ti lascia questo lavoro dei Muse?
Ritrovi le atmosfere di 1984?

Sebbene sia un classico, io come al solito lo ho letto molto in ritardo, ovvero “avanti negli anni” e dunque può essere che il mio modo di percepirlo sia stato influenzato.

1984 come è noto, è ottenuto invertendo le cifre dell’anno in cui è stato scritto: 1948.
Curiosa coincidenza: 1984 è stato un anno importante nella mia vita, un anno di svolta, un anno del quale molto più di altri ricordo particolari e conservo memorie.

Non sono invece altrettanto propensa a identificare il contesto attuale con altrettanto affetto.
La curva discendente verso i punti in cui la visione distopica di Orwell si allinea al reale si accentua in maniera sempre più evidente.

Un po’ come fosse la famosa pallina sul piano inclinato, seppur vorrei continuare a sperare in un declino, per quanto tristemente palese, almeno non altrettanto accelerato e irreversibile perché, per tornare a The Resistance:
if we live our life in fear

IN CAMMINO SULLA VIA FRANCIGENA

IN CAMMINO SULLA VIA FRANCIGENA

Come spesso accade, Monica mi segnala una bella storia, stavolta però non scritta su un libro: è la storia di Cindy Nanette e Mina ed è soltanto all’inizio.

Sono partite da Pontarlier il 10 Settembre e hanno in progetto di arrivare a Roma per Natale.

In questi giorni sono in Lomellina: oggi in particolare a Mortara, dopo aver fatto tappa ieri a Robbio

Io che sono stata una bambina diciamo … un pochino prima laughing ho immediatamente pensato a Remi, Joli Coeur, Capi e Zerbino, ma al di là dell’immagine poetica trovo davvero importante il messaggio che racchiude il mettersi in cammino ora.

Da quando è stata dichiarata Itinerario Culturale la Via Francigena ha assunto una ulteriore veste oltre a quella spirituale e si sono moltiplicate iniziative connessioni e contatti, grazie anche alla rete web che offre un valido supporto di sottofondo.

Quello che mi ha colpita però è il particolare “momento storico”: mentre tutti chiudono, mentre sorgono barriere più o meno visibili, Cindy Chopard si mette in cammino, affidandosi al buon cuore delle persone, e all’ospitalità.

Non di secondaria importanza l’obiettivo di raggiungere la meta per Natale. Curiosa coincidenza: avevo sottolineato il countdown a meno 100 esattamente un mese fa.

Ma siccome lo scenario cambia di giorno in giorno, forse mai come ora stiamo tutti vivendo nell’incertezza di cosa ci riserveranno questo Autunno, che ci sta presentando i suoi primi freddi, e il prossimo Inverno.

Dunque ognuno ha davanti una sorta di cammino fatto di passi diversi, da compiere più o meno metaforicamente, durante il quale potremo magari seguire qualche altra tappa di Cindy e delle sue compagne di viaggio.

CAMBIARE L’ACQUA AI FIORI Valérie Perrin

CAMBIARE L’ACQUA AI FIORI Valérie Perrin

Cambiare l’acqua ai fiori, quasi un promemoria.
Che si è trasformato in un passa parola esteso al punto da conquistare la classifica a colpi di consiglio da lettrice a lettrice (o lettore che dir si voglia). Infatti io lo ho letto grazie a Monica.

Solo in seguito ho trovato l’elenco di premi vinti: Prix Maison de la presse, il Prix Jules-Renard e il Prix des lecteurs du Livre de poche.

L’ho aperto al buio, senza sapere quali sarebbero stati i fiori da curare, e ho scoperto che la cura era per me stessa.

L’immediatezza con la quale ho pensato quanto potrebbe essermi congeniale il lavoro che svolge la voce narrante è stata semplice come quando finalmente ci si accorge di qualcosa che era sempre stato sotto i nostri occhi ma che finora non avevamo mai guardato veramente.

Indossare un’idea di serenità così calzante però non può essere un passaggio scontato, tanto quanto non è detto che il punto di partenza sia paragonabile a leggerezza.

D’altronde i fiori sono simboli di delicatezza per antonomasia.
I fiori sono bellezza, ma anche fragilità.
Ai fiori occorre la luce.
Ai fiori occorre il calore.

Ho amato l’ossatura di questa storia, e, forse per questo, arrivando alle ramificazioni ho provato un forte senso di fastidio. Ma ciò non ha fatto altro che renderla ancor di più una metafora perfetta.

Se ci riflettiamo, cambiare l’acqua è un’azione di rinnovamento che mira però a perpetuare lo stesso fine, e in effetti in questo libro i mutamenti hanno la caratteristica di riportare all’origine come nel più classico dei circoli chiusi, come le stagioni, che compiono il loro ciclo.

Ma i fiori, possono nascere anche tra il cemento.

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