E quando deciderai di venire a visitare il nostro salotto ducale, avrai a disposizione queste indicazioni che offrono la possibilità di avere ulteriori informazioni tramite QR code.
Con lo stesso criterio è stata inaugurata una panchina “digitale.”
Il problema è che di pari passo andrebbe convertita anche l’educazione dei cittadini, che troppo spesso si dimostrano l’esatto opposto di smart.
È bastato un segno di pennarello per rendere illeggibile il QR code.
Questo minuscolo tratto in realtà rappresenta emblematicamente un grande tratto che ci contraddistingue, e allo stesso modo rivela la debolezza sulla quale poggia quello che dovrebbe essere il futuro ….
Qualche giorno fa, Antonio parlava di skin sul suo blog facendo giustamente notare come nei dialoghi del film Free Guy skin fosse stato tradotto letteralmente con “pelle” a discapito del senso reale del termine.
Le Skin di cui ti vorrei parlare invece sono Costumi Fit per la modalità Battle Royale del videogioco Fornite firmati da Demna Gvsalia direttore creativo di Balenciaga.
Alta moda digitale.
È la prima volta che la haute-couture colonizza un videogioco con il proprio marchio, nella fattispecie si tratta di una partnership tra Balenciaga e Epic Games.
Ramirez e Doggo tra i personaggi iconici nella versione del brand di lusso.
Agli outifit digitali è comunque associata anche una capsule reale disponibile sul sito e-commerce di Balenciaga.
La campagna di presentazione del frutto di questa inedita collaborazione si chiama Strange times e prevede anche un contest fotografico, o, per meglio dire, Fortografico.
Le migliori foto postate su Twitter sotto #Fortography e #StrangeTimes oppure sotto il post di Strange Times su Reddit saranno inserite nel gioco.
Tra realtà e virtuale io butto lì un sogno: chissà mai che un giorno qualcuno posterà foto di caffè per KCDC …
Gaia deriva dalla mitologia greca e rappresenta la dea madre di tutti gli dei, personificazione della terra, ma in questo caso diventa il motore dell’innovazione digitale in Europa.
Nel settembre 2020, 22 aziende e organizzazioni (11 dalla Germania e 11 dalla Francia) hanno compiuto un importante traguardo e trasferito il progetto comune in strutture solide: firmando gli atti notarili di fondazione al fine di costituire un’associazione internazionale senza scopo di lucro, dal francese “association internationale sans but lucratif”: AISBL, di diritto belga, la GAIA-X, European Association for Data and Cloud.
Dalla lettura di queste parole la prima cosa che emerge, per me, è l’assenza …
Ma a novembre anche il nostro Ministero ha partecipato al summit e il 28 maggio Confindustria ha dato il kick off all’hub italiano definendolo come il momento di avvio di un percorso condiviso, volto ad aggregare e coordinare tutti i soggetti interessati allo sviluppo di progetti che mirano alla valorizzazione dei dati, e l’occasione per conoscere il progetto europeo e le modalità di realizzazione in Italia.
Di cosa stiamo parlando esattamente? Gaia X è un’infrastruttura dati federata per l’Europa.
Si parla di:
Energia Salute Vita intelligente Industria 4.0 Portabilità Interoperabilità Interconnettività Identità e fiducia Catalogo federato Scambio di dati sovrani Conformità
lo scopo è sviluppare requisiti comuni per un’infrastruttura di dati europea che collega le varie decentralizzazioni per trasformarle in un sistema omogeneo e di facile utilizzo.
In effetti è evidente che la mole di dati a livello digitale lievita di giorno in giorno, non a caso si stanno affermando tutta una serie di nuove figure tra le quali mi affascina particolarmente il demiurgo dei big data.
Senza contare la parallela crescita di IoT: Internet of things che comporta un ulteriore aumento esponenziale dei dispositivi connessi.
Ma quanto può essere importante un Data Cloud europeo? Come vengono gestiti i dati adesso?
È evidente che si tratta di una situazione in divenire, e come accade in maniera fiscale per i colossi del web, forti di normative frammentarie, incomplete, se non inesistenti, le società che gestiscono le server farms agiscono in regime di pseudo monopolio pressoché indisturbato.
L’esigenza che viene sottolineata è raggiungere un’autonomia che permetta di non doversi più avvalere di strutture americane o cinesi.
Ho trovato ad esempio un data center di enormi dimensioni che la Cina ha costruito in una zona semidesertica della Mongolia, precedentemente dedicata all’allevamento dei famosi cavalli: Il Mongolian National Data Center, istituito con una risoluzione del governo emessa il 24 giugno 2009.
Oppure il Data Foundry in Texas fondato addirittura nel 1994 come uno dei primi 50 ISP negli Stati Uniti.
L’aspetto che a mio avviso non viene tenuto sufficientemente in conto è che “non è tutto green ciò che luccica” …
I server vanno raffreddati, e questa operazione, per quanto venga presentata come alla continua ricerca di innovazione, consuma grandi quantità di energia.
Google ci presenta il suo progetto di energia rinnovabile con tanto di galleria fotografica, pur ammettendo quanto segue:
il traguardo del 100% di energia rinnovabile significa che acquistiamo abbastanza energia rinnovabile nel corso di un anno da coprire l’intero consumo elettrico annuale, tuttavia non vuol dire che tutte le nostre strutture siano alimentate da energia pulita a ogni ora di ogni giorno. Per compensare tempi e luoghi in cui non soffia il vento o non splende il sole, acquistiamo un surplus di energia rinnovabile in altri momenti e altri luoghi. Il nostro obiettivo ultimo è raggiungere un approvvigionamento di energia a zero emissioni di CO2 per le nostre operazioni in tutte le sedi, in ogni momento. Stiamo esplorando attivamente strategie per raggiungere l’approvvigionamento di tutti i nostri data center con energia a zero emissioni di CO2 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, monitorando accuratamente i nostri progressi verso la realizzazione di questo obiettivo.
Concludo con la cosa che mi spaventa maggiormente: più andiamo avanti, più le principali operazioni che svolgiamo, dai movimenti bancari ai certificati pubblici, dalle dichiarazioni fiscali, alle sottoscrizione dei contratti, dipendono da applicazioni e da accessi telematici, senza dei quali saremmo praticamente paralizzati.
Si è conclusa l’edizione 2020 della settimana della moda a Milano, un evento importante e iconico che quest’anno ha avuto una veste particolare: la parola d’ordine è phygital.
Come per il MICAM,PHYGITAL sta ad indicare l’interconnessione tra mondo reale e mondo digitale: una nuova dimensione in cui si fondono le parole physical e digital dando origine ad una sovrapposizione tra la comunicazione e la interazione permettendo una offerta sia online che offline.
In questi giorni ho già pubblicato sui social alcuni video degli eventi che mi hanno maggiormente colpita anche se la rosa di eventi e sfilate è talmente ampia che risulta un’impresa cercare di “riassumere”.
Provo a fare come i blog seri che riescono a schematizzare in punti: ti va di ripercorrere la Milano Fashion Week in 5 passi?
sono stata colpita dall’idea di Missoni di raccontare la nuova collezione attraverso una vera e propria cartolina dal Sacro Monte di Varese, il video inizia così: “Varese is like a dream …” e mi ha commosso questo tributo alle radici che per me sono importantissime “to fall in love with a place …”
L’evento. Ho già ampiamente dichiarato la mia massima stima per Re Giorgio e dunque ti lascio immaginare con quanta trepidazione ho seguito il docufilm e la sfilata in tv. Al primo tailleur pantalone di una declinazione di verde ero già stesa … chettelodicoafare … TIMELESS THOUGHTS
Salvatore Ferragamo ha presentato un fashion film strepitoso che spero non vi siate persi l’altro giorno (quando ho condiviso su Twitter e Facebook) perché purtroppo il video ora non è più disponibile. In una Milano deserta durante i giorni del lockdown, la presentazione della collezione ispirata ai capolavori di Hitchcock, con la regia di Luca Guadagnino ha assunto un sapore assolutamente magico, le citazioni di Uccelli, La donna che visse due volte e Marnie si rincorrono. I capi che hanno addirittura colori come l’Hedren green, il Vertigo mauve o il Bodega Bay sky, sono veri e propri omaggi, per non parlare dell’interpretazione di Mariacarla Boscono.
Valentino trasforma l’ex fonderia Macchi alla Bovisa con piante e fiori provenienti da 8 diversi paesi e sceglie di far sfilare persone comuni: street casting invece di modelli professionisti. Il messaggio è romanticismo e la parola chiave risignificazione, cose che a me piacciono. A te?
Mentre in Italia sembra di essere tornati ai tempi di Guelfi e Ghibellini, criterio secondo il quale dovremmo forzatamente separarci in due fazioni opposte: se non stai da una parte, deve significare che stai dall’altra, (e io mi domando PERCHÈ), anche i televisori a quanto pare iniziano a suddividersi i ruoli … sì, lo so, sto parlando di apparecchi “datati” per la durata media corrente, anche se in realtà non è che siano così vecchi. Dunque qui ad esempio in una TV sono ancora visibili i canali Mediaset ma non più La7 ed altri, e viceversa. Dal primo gennaio 2020 i canali DTT (digitale terrestre) iniziano ad abbandonare l’attuale standard di codifica MPEG-2 per passare al MPEG-4 che finora era utilizzato soltanto dai canali HD cioè in alta definizione. Ma questa è soltanto la prima fase: la transizione definitiva si concluderà entro giugno 2022 e prevede il passaggio a nuove tecnologie di trasmissione come HEVC “High Efficiency Video Coding” che offre una migliore compressione dati, o DVB-T2 “Digital Video Broadcasting Terrestrial Second Generation” ovvero l’estensione adatta a portare il segnale HDTV sul digitale terrestre. E perché tutto ciò? Perché le frequenze utilizzate al momento devono essere lasciate libere per la rete 5G, e quindi per la comunicazione mobile, assicurando una alta velocità di connessione per i telefoni cellulari. E i televisori diversamente abili? Avranno bisogno di un decoder. Di nuovo. Però a questo punto la domanda è: la televisione offre ancora un servizio utile e adeguato? I programmi che non si schierano né con i Guelfi né con i Ghibellini per intenderci, i programmi seri, i programmi che fanno cultura o anche intrattenimento che non sia la famosa copia di mille riassunti di Samuele Bersani, si possono forse contare sulle dita di una mano. Dopo che siamo già costretti a pagare una tassa di possesso continuando a chiamarla canone, incastrata peraltro nelle fatture per l’energia elettrica, vale davvero la pena spendere altri soldi? Per come veniamo usati per propagandare, e non parlo solo della pubblicità, onestamente, non dovrebbero essere loro a pagare noi?
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