LA MIA ANIMA È OVUNQUE TU SIA

LA MIA ANIMA È OVUNQUE TU SIA

La mia anima è ovunque tu sia è una frase che colpisce.

Queste parole, pronunciate da un personaggio della storia, donano il titolo al libro scritto da Aldo Cazzullo edito da Mondadori.

Più precisamente il titolo completo è: La mia anima è ovunque tu sia. Un delitto, un tesoro, una guerra, un amore.

Un delitto … come ormai sai molto bene amo leggere libri che parlano di delitti e ancora una volta ringrazio Monica per questa lettura.

Ma se inizialmente i capitoli si rincorrono lungo due linee parallele: il tempo e l’indagine, ben presto l’omicidio in sé stesso perde di rilevanza rispetto alla storia che, da una posizione di sfondo sfocato, pagina dopo pagina diventa protagonista.

Un delitto, un tesoro, una guerra, un amore.

La guerra si sa, è totale distruzione, e anche in questo caso annienta l’umanità provocando comportamenti che niente e nessuno potrà mai più cancellare.

La mia anima è ovunque tu sia può dunque diventare una dannazione?

In attesa che tu mi racconti la tua interpretazione, voglio aggiungere che nonostante l’ambientazione sia il Piemonte, mi sono ritrovata a leggere una storia che è la stessa storia che ho sentito raccontare da piccola e che mi è sempre rimasta impressa: l’avidità ha il potere di accomunare persone con ideali completamente diversi.

Ecco dunque il fine del tesoro

Mi racconti tu di un tesoro che abbia arricchito in senso positivo invece?

FAME D’ARIA

FAME D’ARIA

Fame d’aria è l’ultimo libro di Daniele Mencarelli edito da Mondadori.

Daniele Mencarelli ormai non ha più bisogno di presentazione da un pezzo.

Fame d’aria mi è piaciuto molto per la struttura, per la scrittura e per il modo con il quale in tempo reale il lettore riceve tutto il carico dei diciotto anni di vita con Jacopo.

Jacopo non è il protagonista, Jacopo è il figlio di Pietro, un uomo.

Dico solo un uomo perché è quello che ho pensato conoscendolo una riga dopo l’altra.

Pietro non è un supereroe, non è un paladino, non è neanche un esempio. Pietro è semplicemente una persona, un essere umano come lo sono tutti coloro che cercano di comportarsi nella maniera giusta contro le ondate di quella tempesta che è la vita: un incessante e continuo sferzare che si abbatte inesorabile.

Anche per questa lettura ringrazio Monica, e poi dico grazie anche a Luciana per avermi segnalato l’incontro con lo scrittore organizzato da Il piacere di raccontare

In questo modo ho potuto ascoltare direttamente le parole di Daniele Mencarelli e scoprire come è nata la sua esigenza di raccontare questa storia.

Circa sei anni fa ha incontrato un Pietro e ha iniziato a mettere insieme i tasselli, dettagli che sembrano non avere importanza finché l’accumulo diventa un elemento che si trasforma in scrittura, pensando a come tradurre un ricordo “salvato con nome” come fosse un documento che ha il potere di illuminare il percorso al quale dare vita.

L’immersione dentro una vita non sua è stato brutale per Daniele Mencarelli, non si è permesso nessun fregio che nascondesse lo sfregio che doveva sempre prevalere.

In questo libro l’autore è passato alla terza persona mantenendo però sempre il presente perché ama dare l’impressione che i fatti avvengano mentre vengono letti perché li sente meno distanti.

Devo dire che l’obiettivo è stato pienamente raggiunto perché anche io da lettrice mi sono sentita letteralmente dentro la storia.

Il romanzo ha un antefatto: nel 2000, mentre va a prendere una birra, Pietro incontra Bianca. Si riconoscono ed è colpo di fulmine.

Nel 2023 Pietro è un cinquantenne e la sua macchina si guasta nel Molise, con lui non c’è Bianca ma c’è il figlio Jacopo che ha 18 anni e che purtroppo è autistico a bassissimo funzionamento.

Il paese dove si fermano per cercare un meccanico: Sant’Anna del Sannio non esiste nella realtà anche se assomiglia a tanti posti che ognuno di noi può identificare.

Pietro e Jacopo sono diretti in Puglia dove li aspetta la moglie per festeggiare il ventesimo anniversario di matrimonio.

L’imprevisto dura tre giorni e ruota intorno a tre personaggi: Oliviero il meccanico, Agata la titolare del bar, e Gaia. Grazie a lei si entra nel mondo interiore del padre e si scopre tutto quello che manca alle famiglie come la loro.

Seme fondamentale: la scena come momento di svelamento dell’umano. Esattamente come ti dicevo, il Pietro che è arrivato a me.

Daniele Mencarelli nasce come poeta, la poesia riesce a dare un nome alle cose, coglie la profondità rispetto alla scena. Narrativa invece è architettura di scene che poi assume forma di trama e di arco psicologico dei personaggi.

Infatti la poesia non deve essere “poetichese”, ma deve vivere dentro gli elementi della forma romanzo.

La letteratura è un gesto che vuole essere di testimonianza.

Queste parole di Daniele Mencarelli trovano una particolare concretizzazione nel libro Fame d’aria secondo me.

Ma quello che mi ha maggiormente colpita è stato conoscere la personale “fame d’aria” dell’autore.

Pagine troppo inchiostrate che danno un senso di claustrofobia.

Da questa “fame d’aria” nasce letteralmente l’esigenza di aprire degli spazi verticali nel racconto orizzontale.

La necessità di percepire molta presenza di bianco, cioè bisogno di spezzare la frase e andare a capo come se fosse un bisogno di aria.

Ragionando da poeta in certi momenti dell’umano si arriva con una lingua spezzata. Nei luoghi più alti dell’uomo si arriva solo con la lirica.
Una personale fame d’aria.

E tu? Quando avverti la tua fame d’aria?

LA GIOIA AVVENIRE

LA GIOIA AVVENIRE

La Gioia Avvenire è un libro della collana Monica 🙂

Il titolo è un tributo alla poesia di Franco Fortini:
Potrebbe essere un fiume grandissimo
Una cavalcata di scalpiti un tumulto un furore
Una rabbia strappata uno stelo sbranato
Un urlo altissimo

Ma anche una minuscola erba per i ritorni
Il crollo d’una pigna bruciata nella fiamma
Una mano che sfiora al passaggio
O l’indecisione fissando senza vedere

Qualcosa comunque che non possiamo perdere
Anche se ogni altra cosa è perduta
E che perpetuamente celebreremo
Perché ogni cosa nasce da quella soltanto

Ma prima di giungervi
Prima la miseria profonda come la lebbra
E le maledizioni imbrogliate e la vera morte
Tu che credi dimenticare vanitoso
O mascherato di rivoluzione
La scuola della gioia è piena di pianto e sangue
Ma anche di eternità
E dalle bocche sparite dei santi
Come le siepi del marzo brillano le verità.

La gioia ha davvero tante sfaccettature.

Tu come la definiresti?

Quando pensi alla gioia la associ a qualcosa che verrà?

Io temo di tendere al passato piuttosto che al futuro.

Ma il libro scritto da Stella Poli non parla di gioia.

La frase che mi ha colpito maggiormente è questa

dare al dolore un riconoscimento.

Personalmente trovo che queste poche parole contengano un universo di significati così come il fondamento per poter pensare a un avvenire.

Del resto Stella Poli, assegnista di ricerca all’Università di Pavia ha una estrema padronanza delle parole.

Potrei forse dire che anche il legame con il caffè è sofferto:
Uno dei primi racconti l’ho scritto rischiando la vita. Si era ucciso un mio compagno di classe del liceo, sdraiandosi sui binari, di notte, in periferia. Vivevo a Milano, sola, in una mansardina a Wagner che non mi sarei potuta permettere, ma custodivo, annaffiando piante, leggendo libri non miei. Avevo messo su un caffè e iniziato a scrivere quasi per esorcismo, per provare a non pensarci sempre. Ho scritto tre pagine senza prendere fiato, nulla mi toglie dal tempo come scrivere. Quando sono tornata in cucina, era tutto torbido di gas, il caffè traboccato, la caffettiera esplosa. Ho aperto le finestre, pensando a chi chiedere che fare.

Un segno? Forse.

Del suo La gioia avvenire edito da Mondadori finora non ti ho detto molto, lascio magari che te ne parli direttamente lei

E non voglio nemmeno dirti molto del dolore.

La scuola della gioia è piena di pianto e sangue
Ma anche di eternità
E dalle bocche sparite dei santi
Come le siepi del marzo brillano le verità.

Le siepi di marzo come brillanti verità.

Questo marzo che si è appena concluso ti ha portato qualche forma di gioia

È ciò che spero tu mi racconterai.

TUTTO CHIEDE SALVEZZA

TUTTO CHIEDE SALVEZZA

Questo libro, dopo Il colibrì e Febbre chiude la trilogia di Monica sui Premi Strega.

Tutto chiede salvezza: già il titolo stesso racchiude un universo di considerazioni, eppure porta il lettore dove non avrebbe pensato di andare.

Personalmente nella vita ho imparato presto l’intensità della fratellanza che nasce nelle camere d’ospedale, quando persone totalmente sconosciute si ritrovano a stretto contatto e la comune condizione di sofferenza annulla i percorsi di conoscenza standard, facendo sì che nel giro di poche ore ci si ritrovi catapultati nella vita degli altri in maniera forte e in molti casi indelebile.

Tuttavia non avevo mai conosciuto questo tipo di reparti, e sono grata a Daniele Mencarelli per tutto ciò che con il suo libro mi ha insegnato.

Mai volgere lo sguardo da un’altra parte, mai evitare di chiedersi il MOTIVO di comportamenti che non ci sappiamo spiegare, perché un motivo ci deve sempre essere, per quanto, nella cecità del modus vivendi standard, risulti incomprensibile ai più.

Alla base di tutto c’è la sofferenza, e ancor più la sensibilità. Estrema, allo stato più puro e intenso.
Una sensibilità che non trova spiegazioni nel mondo cinico e che, ignorata, si manifesta in forme immobilizzanti, o, all’opposto, violente.

Mi è rimasto il desiderio di sapere cosa succede dopo quei cinque giorni, non solo a Daniele, ma anche a tutti gli altri personaggi, vorrei poter leggere che ognuno di loro riesce a risolvere il più grande dilemma: la vita.

Vorrei che la salvezza chiesta venisse concessa.

Di fatto, non esiste pazzia senza giustificazione e ogni gesto che dalla gente comune e sobria viene considerato pazzo coinvolge il mistero di una inaudita sofferenza che non è stata colta dagli uomini.
Alda Merini

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