Lui dice che in fondo si tratta di dodici note: dodici note che racchiudono tutto.
Tecnicamente può anche essere vero, ma senza nulla togliere alla musica, sono le parole a fare la vera differenza.
Tante parole, lunghe una vita.
Parole che raccontano storie, parole che descrivono emozioni, parole che fermano attimi, suoi, miei, nostri.
Chi non conosce i famosi “tavolini dei caffè all’aperto”!
Per non parlare del tizio che “legge attento le istruzioni sul distributore del caffè” …
E ancora:
Un caffè che drizza i capelli un pacchetto di fumo e il vento rilegge il mio giornale e domani uscire di nuovo, farmi una faccia allegra per il prossimo carnevale un dolore freddo come un rasoio per un altro giorno che nasce muoio
Davvero il caffè può drizzare i capelli.
Una madonnina fosforescente e dei fiori finti sopra il comò cercavi i collant distratta e indolente e un giorno di più allo specchio il frigo russava dalla cucina e tu canticchiavi facendo il caffè la tristezza lunga della mattina
Tu canticchi quando fai il caffè?
Un via vai di voci e visi del colore delle vie di fuori che perde un po’ di fretta tra i caffè e i liquori se il tuo cuore avesse le finestre io potrei saltarci dentro e farti trovare tutto a pezzi al tuo rientro
Mi piace moltissimo il concetto di “perdere fretta” con il caffè!
E mai più le ciminiere le sirene la città i cancelli e i capannoni bagnati di foschia e di umidità … e mai più sedersi a mensa tra malinconia e purè la catena il nastro i giorni che vanno via col carrello del caffè ...
Notti in macchina a parlare il vetro basso per fumare notti di canzoni vecchie ancora buone da cantare notti buie come un forno notti insonni prima di un gran giorno notti dure di illusioni lunghe e scure di caffè…
Vecchie canzoni ancora buone da cantare … è davvero così.
Canzoni che direi più vissute che vecchie, canzoni da cantare insieme, durante un concerto.
Dodici note sono state il regalo di compleanno da mio fratello.
Per un curioso caso il numero dodici ricorre, lui sicuramente ne farebbe un gioco di parole.
La famiglia Gucci si è più volte dissociata dal ritratto che il film tratteggia, e non entro nel merito, ma ora finalmente posso dire che Lady Gaga in House of Gucci è veramente credibile, per la visione che ne ho avuto io.
Quindi, riprendendo il discorso su Patrizia Reggiani, a quanto pare la decisione di Lady Germanotta di non incontrarla non ha pregiudicato l’interpretazione, nonostante la Reggiani fosse indispettita.
Ovviamente ho osservato abiti, accessori, e outfit in generale, con particolare interesse sia per i pezzi Gucci, sia per i look anni 80, e devo dire che ho apprezzato il lavoro della costumista Yanti Yates.
Lavoro molto scrupoloso, partito da mesi di studio tra gli archivi della maison Gucci.
In una intervista al New York Times, disponibile in forma integrale su Instagram, Yanti Yates ha dichiarato che Lady Gaga era estremamente coinvolta, anche perché è una indossatrice completa, che sta meravigliosamente bene con tutto, che era estremamente concentrata su come il suo personaggio potesse apparire in un momento particolare e aveva opinioni molto forti su aspetti come i capelli e il trucco.
Ma anche lavoro difficoltoso, sempre secondo le dichiarazioni rilasciate durante l’intervista: la costumista creava le selezioni iniziali e poi lei avrebbe selezionato da lì.
Selezionava Gaga. Pare anche che ci siano stati giorni in cui per lei era “oggi no.”
Del resto lo stesso sito Gucci riporta come dichiarazione iconica di Yanti Yates: “Lady Gaga mi ha detto che in questo film voleva vestirsi come la sua mamma italiana. Per realizzare i suoi look ho potuto attingere sia al suo archivio personale che a quello storico di Gucci.”
Allo stesso tempo però ho questo dubbio che mi rigira in testa, quindi aiutami a capire se la mia percezione mi inganna dato che, effettivamente, nei primi anni 70 non è che fossi proprio nel mondo (se per quello nemmeno ora, ma questa è un altra storia).
Purtroppo non sono riuscita a trovare l’immagine della scena in cui Maurizio Gucci presenta Patrizia al padre Rodolfo, ma più o meno vale lo stesso anche per l’abito a fiori di questa foto.
Ovviamente io non sono nessuno per mettere in dubbio la ricostruzione, che in tutti gli altri frangenti ho ammirato, e lo sottolineo bene, ma l’idea di questo vestito mi lascia perplessa. Sbaglio io, vero?
Oltre agli abiti, House of Gucci offre la visione di una fantastica serie di preziose auto “d’epoca.”
In particolare, ho amato molto il modo in cui il regista Ridley Scott inquadra gli arrivi a casa di Rodolfo Gucci: focalizzati sull’ingresso. Dall’esterno verso l’esterno.
Questa inquadratura ricorre più di una volta nel film, con auto diverse che arrivano davanti a quella entrata.
Per me è stata una sorta di “storia nella storia,” quasi un simbolo per scandire il tempo.
Nella foto qui sotto, con lo stesso principio, in contrapposizione si assiste ad una partenza. Che poi è anche un inizio: l’inizio di una strategia per il rientro di Maurizio nell’azienda.
Per il resto ti rimando alla recensione di Matavitatau, io, un po’ come per Cruella, ho molto gradito la colonna sonora non originale.
Come per gli abiti a fiori, ho avvertito una sorta di disorientamento temporale che in alcuni casi mi ha conquistata, in altri mi ha lasciata una specie di interrogativo.
Ad esempio, mi è piaciuta la scelta di Faith di George Michael per accompagnare la scena del matrimonio: nonostante l’incongruenza anacronistica, mi ha trasmesso una gioiosità che controbilanciava il vuoto creato dall’assenza dei familiari di Maurizio.
Al contrario sono rimasta perplessa nell’ascoltare Ritornerai di Bruno Lauzi come sottofondo alla scena in cui Aldo Gucci si reca con Maurizio e Patrizia nella tenuta sede del loro allevamento storico. La canzone è meravigliosa, ça va sans dire, e il senso è incentrato sul ritorno alle origini, però per la mia personale percezione è come se qualcosa stridesse.
A parte questo, potrei elencarti un brano più bello dell’altro, e vorrei proporteli tutti: Here comes the rain again degli Eurythmics chettelodico a fare, Heart of glass di Blondie, Ashes to ashes del Duca Bianco David Bowie, Blue Monday dei New Order, Una notte speciale di Alice, Sono bugiarda di Caterina Caselli, ma anche Largo al factotum da Il Barbiere di Siviglia di Rossini, Madame Butterfly e molto molto altro.
Mentre scegli quale preferisci ascoltare prima, ecco qualche caffè.
Proseguo ringraziando per i commenti e questa volta approfitto per rispondere da qui a Duncan Weick: questo blog è un regalo di mio marito e la struttura è stata sviluppata da Zeus. Io provo a scrivere e ad usare le immagini che spero possano avere un senso. A questo proposito vorrei cogliere l’occasione per parlare di ispirazione: c’è qualcosa in particolare che facilita la scrittura, o in generale la creazione di qualcosa che ti appassiona? Che cosa ti suscita uno stato d’animo grazie al quale riesci a sentirti nel giusto mood, a sentirti in pace con te stessa/o, se non con il mondo? La mia ispirazione deriva quasi sempre dalla musica. Rock, per l’esattezza. “Play it fuckin’ loud!” come ci ha insegnato Bob Dylan. Energia. Per me, assolutamente energia. Ma è impossibile dare una definizione, imbrigliare in un concetto, circoscrivere in una descrizione, perché fondamentalmente è assenza di barriere. Una idea che stride molto con questo particolare momento nel quale ad essere “racchiusi” siamo noi, in effetti. Per questo pensavo alla frase “il tempo è una cosa preziosa”: il tempo non ci viene precluso, anzi, ora potremmo dire di averne una percezione dilatata, a tratti forse incombente. “Watch it fly by as the pendulum swings” prosegue Mike Shinoda quando canta in un crescendo che io percepisco come un fantastico invito ad urlare. La magia di alcune canzoni è proprio l’eclettismo, e il potere di adattarsi poliedricamente a molteplici visioni e situazioni, ed anche in questo caso ovviamente le interpretazioni sono diverse. Personalmente quella che preferisco è attinente alla consapevolezza del tempo. Concetto a sua volta non del tutto universale nel senso che la sua percezione è variabile secondo il punto di vista, ma più in generale, considero il simbolo del pendolo legato alla società più moderna. Ora quel pendolo sta particolarmente sovrastando tutti noi che siamo stoppati, e che dovremmo fare serie e doverose riflessioni, io credo. Ma senza arrivare a discorsi sulla atomizzazione, rimarrei nella semplicità della nostra tazzina: cambierà la tua concezione di tempo da ora in poi? O … in the end, it doesn’t even matter?
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