HOUSE OF GUCCI

HOUSE OF GUCCI

La famiglia Gucci si è più volte dissociata dal ritratto che il film tratteggia, e non entro nel merito, ma ora finalmente posso dire che Lady Gaga in House of Gucci è veramente credibile, per la visione che ne ho avuto io.

Quindi, riprendendo il discorso su Patrizia Reggiani, a quanto pare la decisione di Lady Germanotta di non incontrarla non ha pregiudicato l’interpretazione, nonostante la Reggiani fosse indispettita.

Ovviamente ho osservato abiti, accessori, e outfit in generale, con particolare interesse sia per i pezzi Gucci, sia per i look anni 80, e devo dire che ho apprezzato il lavoro della costumista Yanti Yates.

Lavoro molto scrupoloso, partito da mesi di studio tra gli archivi della maison Gucci.

In una intervista al New York Times, disponibile in forma integrale su Instagram, Yanti Yates ha dichiarato che Lady Gaga era estremamente coinvolta, anche perché è una indossatrice completa, che sta meravigliosamente bene con tutto, che era estremamente concentrata su come il suo personaggio potesse apparire in un momento particolare e aveva opinioni molto forti su aspetti come i capelli e il trucco.

Ma anche lavoro difficoltoso, sempre secondo le dichiarazioni rilasciate durante l’intervista: la costumista creava le selezioni iniziali e poi lei avrebbe selezionato da lì.

Selezionava Gaga.
Pare anche che ci siano stati giorni in cui per lei era “oggi no.”

Del resto lo stesso sito Gucci riporta come dichiarazione iconica di Yanti Yates: “Lady Gaga mi ha detto che in questo film voleva vestirsi come la sua mamma italiana. Per realizzare i suoi look ho potuto attingere sia al suo archivio personale che a quello storico di Gucci.”

Come la sua mamma italiana.

Quanto suona bene questa frase?

Allo stesso tempo però ho questo dubbio che mi rigira in testa, quindi aiutami a capire se la mia percezione mi inganna dato che, effettivamente, nei primi anni 70 non è che fossi proprio nel mondo (se per quello nemmeno ora, ma questa è un altra storia).

Purtroppo non sono riuscita a trovare l’immagine della scena in cui Maurizio Gucci presenta Patrizia al padre Rodolfo, ma più o meno vale lo stesso anche per l’abito a fiori di questa foto.

Ovviamente io non sono nessuno per mettere in dubbio la ricostruzione, che in tutti gli altri frangenti ho ammirato, e lo sottolineo bene, ma l’idea di questo vestito mi lascia perplessa. Sbaglio io, vero?

Ti lascio questa carrellata di outfit.

 

Oltre agli abiti, House of Gucci offre la visione di una fantastica serie di preziose auto “d’epoca.”

In particolare, ho amato molto il modo in cui il regista Ridley Scott inquadra gli arrivi a casa di Rodolfo Gucci: focalizzati sull’ingresso. Dall’esterno verso l’esterno.

Questa inquadratura ricorre più di una volta nel film, con auto diverse che arrivano davanti a quella entrata.

 

Per me è stata una sorta di “storia nella storia,” quasi un simbolo per scandire il tempo.

Nella foto qui sotto, con lo stesso principio, in contrapposizione si assiste ad una partenza.
Che poi è anche un inizio: l’inizio di una strategia per il rientro di Maurizio nell’azienda.

Per il resto ti rimando alla recensione di Matavitatau, io, un po’ come per Cruella, ho molto gradito la colonna sonora non originale.

Come per gli abiti a fiori, ho avvertito una sorta di disorientamento temporale che in alcuni casi mi ha conquistata, in altri mi ha lasciata una specie di interrogativo.

Ad esempio, mi è piaciuta la scelta di Faith di George Michael per accompagnare la scena del matrimonio: nonostante l’incongruenza anacronistica, mi ha trasmesso una gioiosità che controbilanciava il vuoto creato dall’assenza dei familiari di Maurizio.

Al contrario sono rimasta perplessa nell’ascoltare Ritornerai di Bruno Lauzi come sottofondo alla scena in cui Aldo Gucci si reca con Maurizio e Patrizia nella tenuta sede del loro allevamento storico. La canzone è meravigliosa, ça va sans dire, e il senso è incentrato sul ritorno alle origini, però per la mia personale percezione è come se qualcosa stridesse.

A parte questo, potrei elencarti un brano più bello dell’altro, e vorrei proporteli tutti: Here comes the rain again degli Eurythmics chettelodico a fare, Heart of glass di Blondie, Ashes to ashes del Duca Bianco David Bowie, Blue Monday dei New Order, Una notte speciale di Alice, Sono bugiarda di Caterina Caselli, ma anche Largo al factotum da Il Barbiere di Siviglia di Rossini, Madame Butterfly e molto molto altro.

Mentre scegli quale preferisci ascoltare prima, ecco qualche caffè.

E … la benedizione finale.

UN MONUMENTO DA RICORDARE

UN MONUMENTO DA RICORDARE

Un monumeto da ricordare ovvero un monumento che deve essere tenuto presente ogni giorno è la frase finale di quello che non potrei mai definire semplicemente “commento” che Nick di Matavitatau ha generosamente scritto in merito alla Repubblica di Weimar

Nel caso in cui tu non lo abbia letto, ti consiglio vivamente di non perderlo: lo trovi qui

Tra l’altro ha anche ridato fiducia a Massimo dato che io dal suo spunto avevo parecchio divagato laughing

Sono assolutamente d’accordo sul concetto di monumento come qualcosa che stia ad indicarci di non dimenticare ciò che è stato, dal momento che troppo spesso non teniamo conto dell’importanza degli insegnamenti che potremmo trarre da quanto è già accaduto.

Invece ricadiamo.

La vita, si direbbe, è fatta di recidive e anche la morte dev’essere una specie di recidiva.
Samuel Beckett

Certo che potremmo lavorare su come arrivare a questa “recidiva finale”… o no?

Eppure perseveriamo nel farci cogliere ingenuamente dalle derive che ci trascinano troppo facilmente nelle risacche dei riflussi storici, che somigliano piuttosto a reflussi, che il male rigurgita dopo essersi cibato impunemente.

Cito ancora: la Repubblica di Weimar rimane lì come monito gigantesco al “come è stato” e al “come è bene che non sia mai più:” studiarla è come vederci allo specchio, oggi che la democrazia è tanto in pericolo proprio per nuove carestie e nuovi razzismi.

Perché dunque non vogliamo guardarci allo specchio con onestà?

Se non altro almeno l’inconscio potrebbe registrare ciò che noi non vogliamo vedere, persino Profondo Rosso ce lo insegna.

 

Si può quindi dire che rifiutiamo consapevolmente di vedere oppure inconsciamente rifuggiamo l’evidenza davanti ai nostri occhi?

Ora divago di nuovo, lo so, ma rimbalzando da uno specchio all’altro mi sono imbattuta in una ricerca del professor Giovanni Battista Caputo dell’Università di Urbino, ribattezzata con il nome di Caputo effect, la conosci già?

Si basa sull’illusione visiva: il professore ha registrato le reazioni di un campione di cinquanta persone alle quali è stato richiesto di osservare la propria immagine riflessa nello specchio per dieci minuti consecutivi.

Lo specchio è stato posto all’interno di una stanza illuminata soltanto dalla luce di una lampada posizionata in modo che la sua luce rimanesse dietro al campo visivo dell’osservatore e che non potesse riflettersi.

I risultati hanno dimostrato visioni distorte e in particolare: la maggior parte ha testimoniato di aver visto distorsioni sul proprio viso.

Alcune persone hanno visto il volto di un genitore, in alcuni casi deceduto.

Altre volti sconosciuti, animali o addirittura esseri mostruosi.

Pensi che potremmo provarci anche noi?

Io più che altro ho preso in considerazione l’idea come metafora.

Secondo te che ruolo ha la lampada?

Come possiamo noi illuminarci meglio per vedere nello specchio?

IN INGHILTERRA IL CAFFÈ HA SEMPRE IL GUSTO DI UN ESPERIMENTO CHIMICO Agatha Christie

IN INGHILTERRA IL CAFFÈ HA SEMPRE IL GUSTO DI UN ESPERIMENTO CHIMICO Agatha Christie

In Inghilterra il caffè ha sempre il gusto di un esperimento chimico.
Agatha Christie

A colei che è la Queen assoluta andrebbe dedicato un intero blog, tanto per esprimere quel minimo di ammirazione e di stima che merita.

Ma per rimanere nella nostra misura spazio temporale del caffé intanto inizierei dal fondo: cioè dal trailer del prossimo Assassinio sul Nilo. Lo hai già visto? 

Inutile dire che io sono molto curiosa, senza contare che appena ho sentito le prime note di Policy of Truth  è scattata una standing ovation.
Purtroppo non sono stata a molti concerti però i Depeche Mode a Milano negli anni 80 sono stati un grande sì.

Ma torniamo all’Assassinio sul Nilo: questa possiamo considerarla come terza versione dopo il film con Peter Ustinov del 1978 e Poirot sul Nilo del 2004 con David Suchet.

Direi che Kenneth Branagh si sente a proprio agio nei panni dell’investigatore nato dalla penna di Agatha Christie se ha deciso di replicare dopo Assassinio sull’Orient Express.

Eppure Hercule Poirot è un personaggio molto particolare, all’apparenza scomodo direi, e in linea generale io non lo avrei mai associato a Branagh seppure io lo consideri molto bravo. Forse perché lo ho sempre percepito come molto inglese e come attore Shakesperiano per eccellenza.

Oltretutto nel suo Assassinio sull’Orient Express a mio avviso Kenneth Branagh si è complicato ancor di più la prova con la presenza di Johnny Depp: da quando è posseduto dallo spirito di Jack Sparrow ci ha abituati a ruoli caricaturali tipo Lone Ranger, Dark Shadows, per non parlare di Mortdecai, che per quanto mi riguarda hanno fatto sì che per tutta la visione del film mi aleggiasse nella mente la domanda “perchè Depp è Ratchett e non Poirot?

A onor del vero però i baffi di Branagh per quanto possano sembrare esagerati sono più fedeli ai baffi pensati da Agatha Christie, non trovi?

Dunque, tralasciando interpretazioni che non hanno lasciato il segno come quelle di Albert Finney, Tony Randall, Austin Trevor e Alfred Molina, qual è il tuo Poirot preferito?

Peter Ustinov, David Suchet o Kenneth Branagh?

 

L’ACQUA SI STA ESAURENDO MOLTE, MOLTE VOLTE PIU’ VELOCEMENTE DI QUANTO LA NATURA POSSA RIEMPIRLA. Maude Barlow

L’ACQUA SI STA ESAURENDO MOLTE, MOLTE VOLTE PIU’ VELOCEMENTE DI QUANTO LA NATURA POSSA RIEMPIRLA. Maude Barlow

 

L’acqua si sta esaurendo molte, molte volte più velocemente di quanto la natura possa riempirla.
Maude Barlow

L’acqua è un bene essenziale per la vita stessa.
Tra gli innumerevoli utilizzi serve anche per i nostri caffè 🙂
Se ti chiedessi di descrivere cos’è per te l’acqua, tu cosa risponderesti? Qual è la prima parola che ti viene in mente?
Il vocabolario la definisce un composto chimico nei suoi tre stati di aggregazione, DIFFUSO IN NATURA.
Per me l’associazione immediata è “bene prezioso”.
Quello a cui io non pensavo era la visione come bene economico: commodity.
E mentre qui in Italia i vari governi si susseguono con il denominatore più o meno comune di aggirare l’esito del referendum secondo il quale avremmo votato per non privatizzarla, ci sono parti del mondo in cui l’acqua è soggetta a quotazioni di mercato.
Sì, come in Borsa, proprio con il prezzo che oscilla persino in base alle previsioni meteorologiche.
Ma si può considerare il bisogno di acqua come una domanda di mercato? Secondo un numero sempre più diffuso di investitori, senza alcun dubbio.
Questa speculazione è partita in sordina oltre quindici anni fa e prevede una suddivisione dell’acqua in quote: una parte per il fabbisogno dei centri urbani, una parte per l’agricoltura suddivisa in proporzione alle proprietà, e una parte all’ambiente, per buona pace degli ecologisti.
Tutto ciò sta accadendo ad esempio in Australia, dove come sappiamo ci sono ampie zone desertiche e molto calde.
Inizialmente agli agricoltori è stato dato il miraggio dell’opzione di poter eventualmente vendere parte della propria acqua, se in eccedenza, e ricavarne un profitto.
Ma non occorre un analista per considerare che l’acqua diminuisce progressivamente di anno in anno.
E quando termina la quota attribuita?
Semplice: si può comprare altra acqua.
Ma ovviamente il prezzo sarà salito.
Tuttavia è un’altra la cifra “salita”, e in costante aumento esponenziale, che attrae gli speculatori: il totale della popolazione.
Più persone significa maggiore quantità di acqua necessaria, non soltanto per il fabbisogno: anche per la produzione di cibo.
Tutto ciò porta a una considerazione: se il petrolio è stato chiamato oro nero, l’acqua per molti è già “Oro Blu”.
Nel titolo ho citato Maude Barlow: classe 1947 leader nella campagna per far riconoscere l’acqua come un diritto umano, per concludere invece vorrei prendere spunto dalla frase di Thomas Fuller:
Non conosciamo mai il valore dell’acqua finché il pozzo non si prosciuga.
Magari permettendomi di adattarla: non conosciamo il valore dell’acqua finché non diventa una merce.

PILLOLA ROSSA O PILLOLA BLU?

PILLOLA ROSSA O PILLOLA BLU?

Pillola rossa o pillola blu?
Si usa molto suddividere le generazioni: Millennials, Generazione X, Boomers e così via; nonostante il cammino in comune, ognuna ha una visione particolare su diversi archi di tempo contraddistinti ovviamente dagli accadimenti che li hanno caratterizzati.
Molti di noi forse non avevano mai avuto una esperienza concreta su determinati tipi di emergenze, e la prova generale di panico alla quale stiamo assistendo in questi giorni sicuramente apre vari scenari inediti o perlomeno mai presi in considerazione seriamente.
Si sente e si legge tutto e il contrario di tutto e le domande scoppiano come una incontenibile quantità di chicchi di mais esposta al calore.
Eppure osservo, tu come sempre correggimi se sbaglio, che la maggior parte delle persone continua a rinchiudere le faccende tra i quattro angoli del proprio orticello. Comportamento dal quale ad esempio deriva la corsa a pasta farina e zucchero nei supermercati. Come se avere un tot di scorta nella propria dispensa potesse bastare a chiudere fuori dalla porta tutto il resto.
Domanda: quale può essere il motivo?
Basta davvero lavarsene le mani?
Ma, al di là dello specifico, anche in un contesto di normale routine, non ti sembra che in generale le persone preferiscano non affrontare riflessioni che potrebbero portare a conclusioni scomode o indesiderate?
Inevitabile ricordare la celeberrima esemplificazione del libero arbitrio formato Matrix:

 “Pillola azzurra: fine della storia. Domani ti sveglierai in camera tua e crederai a quello che vorrai.
Pillola rossa: resti nel paese delle meraviglie e vedrai quanto è profonda la tana del Bianconiglio.
Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. Niente di più.”

Tra le innumerevoli interpretazione e dissertazioni c’è anche l’ipotesi che la blu sia la scelta del dogmatico, ma io vorrei rimanere al concetto più basico: quanti sceglierebbero la pillola rossa?

 

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