YOU MAKE ME FEEL LIKE IT’S HALLOWEEN

YOU MAKE ME FEEL LIKE IT’S HALLOWEEN

You make me feel like it’s Halloween la prima volta che ho ascoltato questo brano gotico elettronico dei Muse ho pensato a un complimento: mi fai sentire come se fosse Halloween. Forte!

In realtà però il testo della canzone racconta di come ci si sente in trappola.

Pensando a una situazione senza via d’uscita, ti ritrovi a immaginare scenari da film horror?
Sicuramente i Muse hanno giocato con questo concetto.

 

Tributo o parodia?

Il video è stato realizzato a cura di Jesse Lee Stout: Muse Creative Director per Metaform Studio, la regia è di Tom Teller.

I riferimenti sono davvero tanti, vuoi citarne qualcuno tu?

Ci sono varie interpretazioni di You make me feel like it’s Halloween, alimentate anche dalla frase finale: but you are the caretaker cioè “ma sei tu il custode.”

In una intervista Matt Bellamy ha scherzosamente dichiarato che c’erano troppe canzoni sul Natale ed era tempo che qualcuno celebrasse qualche altra festa, come Halloween ad esempio. 

Tu cosa ne pensi?

Indubbiamente i Muse nel corso di questi venti anni costellati dai loro successi ci hanno abituati a ben altre emozioni.

Personalmente sono sempre stata colpita in primo luogo dalla carica potente che Matthew Bellamy & Co. Riescono a tramettere, ma anche dall’estro che li contraddistingue unito ad un genere del tutto esclusivo che inizialmente rendeva complicato incasellarli in un genere musicale definito.

Qual è la tua preferita tra le loro canzoni?

Lo so, non è facile scegliere, io non riesco a stilare classifiche, sebbene abbia un legame speciale con alcuni dei loro brani.

Alla luce di questo possiamo forse riconsiderare You make me feel like it’s Halloween più per il messaggio che per le citazioni horror, sei d’accordo?

Il 26 ottobre i Muse saranno all’ Alcatraz di Milano  ottimo modo per sentirsi in Hallooween mood.

E tu? Quando ti senti come se fosse Halloween?

LETTERE AL PASSATO

LETTERE AL PASSATO

Tra una settimana sarà Natale, ma che Natale sarà?

Questo pensiero si porta dietro la nostalgia dei ricordi che scorrono come al rallentatore.

Se potessi scrivere una lettera alla me del 1979 le direi di essere strafelice perché gli anni in arrivo saranno una esplosione di vita, di colori, di suoni, di emozioni.
E le direi di imparare bene The logical song, perché un giorno purtroppo il significato apparirà in tutta la sua chiarezza.

Se potessi scrivere una lettera alla me del 1989 le direi che quello è stato il primo di trentadue anni di lavoro che mi piaceranno ma che devo dare ascolto al desiderio di studiare e pretendere di più per me stessa.
E le direi di battersi perché così come a Berlino, tutti i muri vengano abbattuti.

Se potessi scrivere una lettera alla me del 1999 le direi che tutta quell’idea del duemila è soltanto una grande bolla di sapone e che il futuro in arrivo ha indosso una maschera che nasconde il regresso.
E le direi che una cosa è conoscere il sentiero giusto, un altro è imboccarlo

Se potessi scrivere una lettera alla me del 2009 le direi di non illudermi che la crisi stia per finire e di prepararmi a vivere la recessione.
E le direi che The Resistance non è soltanto il miglior album rock.

 

Se potessi scrivere una lettera alla me del 2019 le direi di vivere ogni singolo minuto con la consapevolezza dell’enorme valore dei semplici momenti che per quanto banali, cambieranno.
E le direi che stanno per accadere cose alle quali non avrei mai mai creduto.

Ma i roghi peggiori bruciano realtà immateriali.

DIARIO DI BORDO DALLA ZONA ROSSA LOCKDOWN GIORNO 1

DIARIO DI BORDO DALLA ZONA ROSSA LOCKDOWN GIORNO 1

Diario di bordo dalla zona rossa lockdown giorno 1.

La sensazione che si percepisce è forse paragonabile a quando ci si trova nell’ultimo cono di luce prima di entrare nel tunnel.

L’illuminazione all’interno è fastidiosa perché non si vedono luci ma abbagli a intermittenza.

La caratteristica principale sono infatti questi intervalli regolari, con interruzioni pressoché telegrafiche, al termine delle quali riprende la litania monocorde di qualsivoglia tipo di comunicazione o informazione della TV.

Non so tu, ma io ho iniziato a detestare alcune parole che vengono adottate come mantra.

E al posto degli arcobaleni ora sono rimasti solo colori che dividono.

Personalmente avverto il bisogno del mio rifugio: la musica e dunque direi che il brano perfetto per oggi è The Resistance dei Muse.

A partire dalla copertina, che per restare in tema di colori, li rappresenta in una visione psichedelica.
Non a caso è stata giudicata la migliore dell’anno 2009.

Per continuare con i molteplici significati racchiusi nelle parole, nei testi, nelle metafore, come ad esempio il fatto che The Resistance rappresenta un riferimento a 1984 di George Orwell, al quale Matthew Bellamy si è ispirato.

Il brano che cita direttamente l’Eurasia è un altro, ma in realtà The Resistance stessa rievoca moltissimo Winston e Julia costretti a nascondersi per non essere scoperti dal Partito.

Tornando a United States of Eurasia invece, per molti rappresenta un plagio, piuttosto che una citazione di Bohemian Rapsody, tu cosa ne pensi?
Sempre secondo i detrattori, che non gradiscono nemmeno la ghost track Collateral Damage con la sonata Notturno n. 9 di Chopin, le influenze che si sentono sono parecchie e riconducibili ad una sorta di pot pourri musicale.

Tu le hai notate al primo ascolto?
Che impressioni ti lascia questo lavoro dei Muse?
Ritrovi le atmosfere di 1984?

Sebbene sia un classico, io come al solito lo ho letto molto in ritardo, ovvero “avanti negli anni” e dunque può essere che il mio modo di percepirlo sia stato influenzato.

1984 come è noto, è ottenuto invertendo le cifre dell’anno in cui è stato scritto: 1948.
Curiosa coincidenza: 1984 è stato un anno importante nella mia vita, un anno di svolta, un anno del quale molto più di altri ricordo particolari e conservo memorie.

Non sono invece altrettanto propensa a identificare il contesto attuale con altrettanto affetto.
La curva discendente verso i punti in cui la visione distopica di Orwell si allinea al reale si accentua in maniera sempre più evidente.

Un po’ come fosse la famosa pallina sul piano inclinato, seppur vorrei continuare a sperare in un declino, per quanto tristemente palese, almeno non altrettanto accelerato e irreversibile perché, per tornare a The Resistance:
if we live our life in fear

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